La conoscenza che la maggior parte di noi ha del morbo celiaco, o celiachia, è che sia una intolleranza al glutine. Tutto vero, ma più precisamente è un’intolleranza alla gliadina, una frazione proteica del glutine presente soprattutto nel frumento ed in minore percentuale e in forme simili anche in farro, avena, orzo e segale. La gliadina è infatti solo una delle prolamine, che a loro volta sono uno dei quattro tipi di proteine presenti nel glutine.
Nelle persone geneticamente predisposte il sistema immunitario (con anticorpi o tramite la reazione di linfociti-T e macrofagi) non riconosce la gliadina come una molecola “amica” e scatena una sproporzionata risposta difensiva che ha come incolpevole bersaglio le cellule dei villi intestinali, portando alla loro progressiva distruzione. Questo porta ad effetti fisiologici anche gravi, dal malassorbimento delle sostanze nutritive al danneggiamento dello stesso intestino tenue. Evitando il glutine i sintomi regrediscono e i villi intestinali tornano al loro normale funzionamento. Per lungo tempo dunque, in attesa di conoscere a fondo le cause della malattia e di trovarne la cura, la terapia è sempre stata di evitare ogni alimento contenente anche la più piccola traccia di glutine, rendendo l’alimentazione dei celiaci una strada irta di difficoltà e rinunce. Lunghi studi sono stati fatti sui meccanismi e sulle modalità con cui glutine, gliadina e altre prolamine, sistema immunitario e cellule dell’intestino si fronteggiano in questa lotta fratricida, studiando di conseguenza come i vari alimenti o le varie modalità di prepararli peggiorino o migliorino la malattia.
La novità interessante è che molte di queste diverse ricerche stanno convergendo verso un risultato comune: alimenti naturali, integrali, non raffinati, appartenenti ad un’alimentazione più fisiologica e meno artificiale sono risultati i più efficaci per prevenire e contrastare la malattia e per favorire il recupero delle funzionalità dell’intestino nelle persone che ne soffrono.
Negli ultimi congressi è emerso molto chiaramente questo orientamento che mi è parso, ovviamente, interessante. Leggendo qua e là i vari resoconti, molte conferme:
– L’avena ad esempio, pur contenendo glutine, si è dimostrata molto meno stimolante per il sistema immunitario dei celiaci, risultando in molti casi ben tollerata, soprattutto se integrale. Anche l’avena contiene gliadina, ma in percentuale molto minore rispetto al frumento, e la prolamina preponderante, l’avenina, scatena molto meno l’intolleranza. Stesso discorso vale per l’orzo (la sua prolamina è l’ordeina) e la segale (secalina).
– Il grano monococco, o farro piccolo (Triticum monococcum), è una varietà antica di grano tenero già da molto tempo messa da parte per la minore resa (addirittura già 2000 anni fa). Risulta invece ben tollerata dall’intestino dei celiaci, e per questo motivo sta vivendo una nuova giovinezza (1). Fortunatamente la varietà originale non si è persa e viene ancora coltivata, anche in Italia. La stessa cosa è capitata, se ricordate, già anni fa al grano Kamut, antenato non del grano tenero ma di quello duro. Anch’esso varietà antica, anche lui meno problematico per i celiaci.
– Il pane, soprattutto integrale, lievitato con pasta acida (lievito madre) è risultato meno tossico per i celiaci, poichè questo tipo di lenta lievitazione predigerisce più efficacemente il glutine.
– L’incidenza del morbo celiaco si è sempre più dimostrata inversamente proporzionale al consumo di fibre: una dieta ricca di cereali integrali, verdura, legumi e frutta e povera di zuccheri semplici è risultata più protettiva nel contenere gli stimoli immunitari che scatenano la malattia.
Questo perchè, oltre alla predisposizione genetica, non così rara, è importantissima l’intensità e la durata dello “stress” per l’intestino dovuto al contatto di più o meno glutine con le mucose intestinali nel corso degli anni.
– Una pratica molto naturale come l’allattamento al seno dei neonati, proseguito fino al sesto mese, sembra ridurre fino al 50% la probabilità di sviluppare durante la vita la malattia, probabilmente per la migliore trasmissione di informazioni immunitarie da madre a figlio e per la più naturale preparazione dell’intestino del neonato alla futura alimentazione.
– Una maggior varietà di cereali nella dieta attenua la predisposizione alla malattia: cereali come riso, mais, miglio, quinoa, amaranto e grano saraceno, tutti privi di glutine, alternati ai cereali con glutine, ne diluiscono il potere sensibilizzante con eccellenti effetti soprattutto nelle forme meno gravi di celiachia.
– Molte persone sono geneticamente predisposte alla celiachia (si stima 1 italiano su 150) ma la maggiorparte lo è a forme lievi che possono emergere o no a seconda che la dieta sia corretta o meno. Con una dieta naturale questi possono rimanere del tutto asintomatici per tutta la vita (cioè non se ne accorgeranno mai). In pratica seguire un’alimentazione naturale è un eccellente preventivo.
Da queste ed altre si può intuire questo: l’esponenziale e preoccupante aumento dei casi di morbo celiaco potrebbe essere dovuto a tre fattori, legati a come è cambiato nella moderna alimentazione di massa il modo di consumare i cereali. Prima di tutto un progressivo e inesorabile monopolio del frumento rispetto agli altri cereali: se pensiamo alla dieta seguita dalla maggiorparte delle persone e contiamo i cereali effettivamente usati, nella stragrande maggioranza delle diete vediamo una presenza incontrastata del grano, con qualche fugace apparizione magari del riso, peraltro brillato. Pasta, pane, biscotti, prodotti da forno e svariati altri alimenti sono quasi tutti preparati con farina di grano duro o tenero. Sempre e solo il grano come cereale dominante, dunque. Secondo fattore: il grano utilizzato al giorno d’oggi è frutto di selezioni che ne hanno isolato le poche, pochissime qualità che offrono la maggiore resa agricola (e dunque sempre meno differenziazione di qualità e varietà biologica anche all’interno dello stesso frumento) e il più alto quantitativo di glutine, che rende gli impasti più solidi e collosi favorendo e velocizzando la lievitazione, dunque un ulteriore elemento peggiorativo nei confronti della celiachia. L’eccellente grano monococco è ben lontano. Infine le tecniche di produzione alimentare e il mercato impongono un uso di cereali sempre più raffinati, spogliandoli, oltre che della crusca, anche del necessario effetto equilibrante fornito dalla loro integrità (fibre, minerali, vitamine) durante il processo digestivo, in più concentrando la presenza del glutine.
Questi tre elementi, cioè monopolio del frumento con l’aggravante della scarsa varietà biologica, utilizzo di qualità “moderne” e ricche di glutine ed eccessiva raffinazione dei chicchi, sembrano aver favorito (anche in chi non se ne sarebbe mai accorto) l’emergere dei casi “lievi” e dunque la sua apparente maggiore diffusione, molto più della fisiologica quota che ci sarebbe stata se l’alimentazione non si fosse allontanata da quella naturale che ha accompagnato la nostra evoluzione.
Come suggeriscono dunque le ricerche, un utilizzo di più cereali (avena, farro, orzo, segale, riso, mais, …), soprattutto nelle loro varietà meno “modernizzate” (grano o farro monococco e dicocco, e altre varietà cadute in disuso soprattutto per motivi economici) e infine consumati nella loro integralità e nel contesto di una dieta naturale possono evitare la sensibilizzazione del sistema immunitario verso la gliadina del glutine nelle persone geneticamente portate ad una forma leggera di celiachia, rallentandone e limitandone il manifestarsi, e rendere meno gravi e limitanti gli effetti per le persone predisposte alle forme più serie.
La cosa che interessa di più, dal nostro punto di vista della macrobiotica, è dunque l’ennesima conferma di come un’alimentazione naturale sia la più indicata soprattutto per la prevenzione di molte patologie, mentre la cosa triste sarebbe scoprire che una malattia come la celiachia possa essere uno degli effetti negativi della moderna alimentazione di massa, governata più dalle leggi di mercato che da quelle della natura, e soprattutto, in molti casi, evitabile.
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Ultimo aggiornamento: agosto 2015
(1) Una recentissima (giugno 2015) ricerca “in vitro” tutta italiana sembra avvalorare questa ipotesi. Essendo solo in vitro altri studi sono necessari, ma sembra interessante:
“Extensive in vitro gastrointestinal digestion markedly reduces the immunetoxicity of Triticum monococcum wheat: Implication for celiac disease”
Carmen Gianfrani e altri, su Molecular Nutrition and Food Research, giugno 2015, vol.59
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