Pubblicato da: pades | 17 luglio 2014

Premio etichetta del mese (4)

L’uso di non meglio precisati oli vegetali (spesso tropicali) abbatte davvero i costi, per il consumatore finale?

Non so dirvi perché mi piace il sud della Francia, ma è una storia di lunga data, e la frequento spesso. Mi piace il rapporto che i francesi del sud hanno con il cibo e amo perdermi per i mercati di Apt, Aix o Nizza (per ricordarne alcuni dei più grandi), ma anche quelli più piccoli di Grasse o Antibes, in cui moglie e figlio hanno dovuto trascinarmi via per salvare un contadino dalle mie domande sulle otto diverse varietà di zucchine che aveva sul banchetto. Ma anche perché, girata una curva, potete trovare questo (e purtroppo con la foto non riesco a trasmettervi il profumo della lavanda e l’assordante ronzio delle api da miele):

Metà luglio, lungo la strada da Valensole a Manosque

Metà luglio, lungo la strada da Valensole a Manosque

 Come vi dicevo, quello che mi attira è probabilmente anche la tradizione alimentare di questa regione, che si apprezza davvero girando per sagre e ristoranti piccoli e sperduti, nei quali non è difficile parlare con chi cucina. D’altra parte, come avrete capito, quando si tratta di cibo io sono lì.

Tutto questo probabilmente non vi interessa più di tanto, ma mi serve ad agganciare quello che sto per raccontarvi.

Caffè

Caffè

Perché dovete sapere che spesso, dopo mangiato e a corredo del caffè, vi portano i classici biscottini speziati, e io non potevo certo mancare di verificarne gli ingredienti e raccoglierne alcuni come documentazione, tenendoli da parte proprio per voi.

Prima di parlare delle etichette occorre precisare una cosa: i francesi sono sì molto attenti agli ingredienti che usano quando cucinano, ma sono anche super fiduciosi rispetto a quello che dice e fa lo Stato. Se ad esempio la Municipalité dice che l’acqua della rete cittadina è ottima, la stragrande maggioranza dei cittadini la darà senza alcun pensiero anche ai neonati, e per lo stesso meccanismo se un biscotto viene commercializzato è perché qualcuno ha sicuramente controllato, ed è sano come se fosse fatto in casa (ricordate le due regole dei consumatori nel post sull’agnoressia?). Teniamo sempre presente che tutto questo idillio è disturbato, come in tutta Europa, dall’annosa questione dell’etichettatura e della libera circolazione dei prodotti, ma per farla breve eccoli, con le quattro liste di ingredienti (se serve, in fondo al post ci sono le immagini del retro (4)):

Speculoos

Speculoos

– Farina di frumento, zucchero caramellato, oli e grassi vegetali (palma, colza, cocco), zucchero di canna grezzo (1.5%), farina di soia, lievito in polvere (carbonato acido di sodio), cannella (0.2%), noce moscata

– Farina di frumento, zucchero, oli e grassi vegetali parzialmente idrogenati, sciroppo di zucchero caramellato, lievito in polvere (carbonato acido di sodio, carbonato acido d’ammonio), sale, cannella

– Farina di frumento, zucchero, oli e grassi vegetali, sciroppo di zucchero caramellato, lievito in polvere, farina di soia, sale, cannella

– Farina di frumento, zucchero, oli e grassi vegetali (palma, colza), zucchero caramellato, lievito in polvere (carbonato acido di sodio, carbonato acido d’ammonio), sale, cannella

Ora, come potete vedere la metà delle etichette non indica l’origine del grasso utilizzato. Come sappiamo, dietro l’indicazione “oli e grassi vegetali” ci potrebbero essere grassi tropicali (palma, cocco, palmisti) ma non ne possiamo essere sicuri. Certo, se fosse girasole od oliva verrebbe sbandierato, ma potrebbe anche andare meno bene, ed esserci olio di colza, mentre in un caso ci sono sicuramente anche grassi parzialmente idrogenati (ma gli esperti non dicevano che non si usano più? Boh…). Nel dedalo di traduzioni l’olio di colza viene anche citato come “olio di canola” che è cosa ben diversa (1). Insomma, pur nella piena legalità (precisiamolo sempre), non c’è nemmeno l’ombra di un grasso pregiato che sia uno.

Diciamo che a questo punto, dopo aver già abbastanza compromesso il mio riposo notturno con il post sull’agnoressia, questa dei biscottini da caffè è la goccia che nel mio caso fa traboccare il vaso. E perché, direte voi? Perché usare questi grassi per un prodotto destinato ad un uso così particolare, in cui anche la qualità degli ingredienti di quello che si offre concorre all’immagine della propria attività (bar o ristorante che sia), sembra una stonatura imperdonabile, sia da parte di chi lo produce (e lo propone sul mercato) sia di chi lo acquista (e lo somministra al pubblico). Stonatura che lascia sbigottiti i clienti più attenti come il sottoscritto.

Vediamo perché, e per dimostrare quanto (per il consumatore finale) il gioco non valga la candela facciamo due conti. Qui di seguito una tabella con i prezzi all’ingrosso di alcuni grassi ad uso industriale:

 

Come vedete il prezzo è alla tonnellata (a questi livelli si parla di stock da 20 tonnellate o più), ma per comodità ho riportato anche il costo al chilo. I grassi sono riportati in ordine decrescente di prezzo, e potete abbracciare con un colpo d’occhio la differenza fra il carissimo burro e l’olio di colza (3). Sembra ormai evidente che il fattore “costo” sia sempre e comunque quello che incide di più sulle decisioni aziendali, mentre appaiono sempre meno convincenti le varie giustificazioni che vengono spesso date (minimizzando su quello del costo) circa l’uso dell’olio di palma e dei tropicali in genere, e cioè che sono utilissimi perchè allungano la vita di scaffale –shelf life- del prodotto e non alterano il gusto degli altri ingredienti. Riguardo la shelf-life, ho fatto una rapida ricerca al supermercato: biscotti con burro (considerato deperibilissimo quando si tratta di giustificare gli oli tropicali), olio di oliva, di girasole e di palma avevano esattamente le stesse scadenze (circa 12-14 mesi). Ma allora questa vita di scaffale si allunga o no? E soprattutto: ma quanto deve essere lunga questa permanenza in magazzini e negozi? Più di un anno non basta al sistema industria-grande distribuzione per venderli? Dobbiamo forse mangiare biscotti mummificati prodotti due o tre anni fa? Circa il sapore, poi, lasciamo perdere: come sa qualunque massaia è proprio il grasso che concorre in maniera determinante al gusto (pensate al burro), e per fare un ulteriore esperimento ho cercato (ed assaggiato) biscotti tipo gallette-petit (perché non hanno aromi di altri particolari ingredienti) che avessero l’olio di palma… è vero, non alterava il gusto di solo amido e zucchero… infatti sembrava cartone dolce. Senza l’aiuto di aromi (vanillina, limone, ecc.) il sapore, soprattutto usando farine bianchissime, rimane assolutamente insignificante. Il fatto di avere un gusto del tutto neutro può dunque essere considerato un difetto, non un vantaggio… (2). Alla fine, quindi, temo che sia proprio il costo il fattore che pesa di più. Ma allora al consumatore costeranno molto di meno, no? Non ne sono così sicuro…

Torniamo infatti a fare i nostri conti e prendiamo un comunissimo pacco di biscotti da 300 g. In questo pacchetto ci sono in tutto circa 50 g di grassi (in media qualche grammo in meno, ma facciamo cifra tonda). Se calcoliamo quanto la materia prima “grasso” incida sul costo dell’intero pacchetto troviamo che la forbice va dai 4 centesimi di euro (si, avete letto bene) degli oli di palma o girasole (la colza la lasciamo proprio perdere) ai 16-17 centesimi dei carissimi burro od olio extra vergine di oliva italiano (ma i centesimi scendono a 11 se l’olio EVO è ad esempio tunisino). Dunque già per un pacco da 300 g il costo vero e proprio dei grassi è marginale rispetto al prezzo finale, e a questo punto diventa evidente perché io abbia tirato in ballo i biscottini speziati da caffè: per quei micro-pacchetti (ne contengono uno, a volte due) da circa dieci grammi (quando va bene) il costo dei grassi va da 1 millesimo di euro per la palma ai 4-5 millesimi usando burro od olio extra vergine di oliva. Ma allora vale davvero la pena, per noi, che vengano utilizzati quelli meno costosi? Il risparmio per i consumatori finali (bar e ristoranti) è ridicolo (se va bene, e tenendo conto dei ricarichi, circa 6 millesimi di euro a pacchettino), mentre il vero guadagno è dei grandi produttori, poiché su migliaia di tonnellate di biscotti il risparmio diventa invece notevole. E non è neanche detto, fra l’altro, che la filiera di distribuzione faccia pagare proporzionalmente di meno i prodotti con i grassi meno pregiati. Oltre al danno, è possibile pure la beffa.

Anche queste semplici considerazioni fatte davanti ad un caffè possono aiutare a fare scelte consapevoli. Pensiamoci, quando leggiamo le etichette.

Dimenticavo, i biscottini speziati al burro o all’olio di oliva si trovano: li fanno i piccoli produttori locali, per i quali i ridotti volumi produttivi non giustificano il piccolo risparmio che si potrebbe fare usando grassi non pregiati, se questo significa perdere il gradimento dei consumatori. Un altro punto a favore della regionalità e dei mercati di prossimità (chilometri zero, filiere corte): il controllo dei consumatori è più efficace e diretto.

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(1) L’olio di colza è stato lentamente dismesso dall’uso alimentare a causa della eccessiva presenza di acido erucico (cardiotossico) nelle varietà di colza usate tempo fa, sostituite poi da una ristretta selezione di cultivar di questa pianta con una più bassa percentuale di acido erucico. L’olio che ne deriva è stato chiamato olio di canola (CANadian Oil Low Acid) per distinguerlo dall’olio di colza generico, che viene ancora prodotto ma per altri scopi (ad esempio per i bio-carburanti).

(2) Fra l’altro l’olio di palma nella versione grezza (extra vergine di palma) non sarebbe neanche da buttar via, se usato con moderazione, nei luoghi di origine (tropici) e da chi ci abita. Il problema sta nella raffinazione, che elimina i componenti protettivi (antiossidanti naturali, soprattutto betacarotene) oltre a profumo e colore ed aggrava (con i vari frazionamenti) il suo vero limite nutrizionale che è l’alta percentuale di acido palmitico, e ovviamente nell’abuso che, nel complesso, se ne fa nella dieta occidentale. Per non parlare dello scempio ecologico legato alla coltivazione intensiva delle palme da olio.

(3) Notate anche che l’olio di semi di girasole costa come quello di palma. Non è dunque un caso che molte industrie, nella forzata conversione verso materie prime percepite dai consumatori come più pregiate (incentivata dalla nuova etichettatura che esige più dettaglio), si siano gettate a pesce sul “naturalissimo” olio di semi di girasole, che essendo polinsaturo è però facilmente ossidabile e non molto resistente alle cotture ad alte temperature (ecco perché costa poco).

(4) Ecco il retro dei pacchettini. Cliccare per ingrandire.

Spec01 Spec02 Spec03 Spec04


Risposte

  1. Per principio da tempo non acquisto prodotti nelle cui etichette leggo “grassi vegetali” senza altra specificazione, men che mai se viene indicato che sono idrogenati, ma nemmeno se si specifica che non sono idrogenati. Acquisto solo prodotti con l’indicazione che il grasso usato è l’olio di girasole (e non so se faccio bene) o meglio l’olio extra vergine di oliva, ma non sono nemmeno sicuro se faccio bene a fidarmi, ma altrimenti non potrei acquistare proprio niente. Forse non dovrei acquistare proprio niente!? Piuttosto preferisco il burro, o anche lo strutto(?), infatti ho letto da qualche parte che è preferibile alla maggior parte degli oli vegetali (è vero?). Faccio bene? Oppure mi impongo restrizioni eccessive? O al contrario dovrei essere ancor più esigente? Sono 40 (quaranta!) anni e più che mi interesso di sana alimentazione e leggo e, in parte, cerco di praticare, ma troppo spesso mi sento ancora inadeguato nel giudicare, e, col crescere della conoscenza e dell’esperienza, mi sembra di non saperne mai abbastanza, anche perché le industrie alimentari sono protese a prevenire le nostre scelte salutistiche escogitando sempre nuovi inganni, come ad esempio l’inganno dell’olio di colza che è autorizzato a cambiare nome grazie ad un forse insignificante cambiamento della qualità o delle modalità di produzione.

    • Ciao Gianmarco,
      infatti dobbiamo fare pressione su chi fa le normative per arrivare a fidarci di quello che leggiamo in etichetta.
      Lo strutto ha un profilo lipidico simile all’olio di palma (come precentuale di grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi). Lo strutto ha più colesterolo, il grasso di palma più acido palmitico… sai, alla fine ogni grasso ha i suoi difetti ed i suoi pregi, il vero problema nell’alimentazione occidentale è l’abuso che se ne fa. Ad esempio in una dieta equilibrata non è normale mangiare più di 3-4 biscotti al giorno, mentre vedi bambini o ragazzi che ne mangiano anche 10 o 15 (300-450 KCal solo di quello…): a quel punto è facile eccedere nei grassi.
      Tornando alle etichette, le industrie fanno quello che la normativa consente loro di fare, in linea di massima non ingannano e agiscono nella piena legalità. Diciamo che nelle loro priorità i ritorni economici stanno più in alto del resto, è nei loro diritti (più o meno eticamente) ed agiscono di conseguenza. Come detto prima, dobbiamo far pressione per avere normative chiare, perchè sia chiaro che i loro diritti si devono fermare dove iniziano i nostri. Su questo dobbiamo essere duri, durissimi. Fra l’altro noi consumatori rappresentiamo la maggioranza assoluta, il vero interrogativo è perchè non abbiamo ancora abbastanza voce in capitolo… ma le cose stanno cambiando.


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