Pubblicato da: pades | 18 gennaio 2016

Carne: perché la IARC ha ragione

L’allarme lanciato dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro su carni conservate e carne rossa ha spiazzato tutti. Ma era ora che si cominciasse a parlare di cibi veri e non più dei loro componenti.

Mucca

Mucca

Inserire la carne conservata (processed meat) nella classe più alta delle sostanze cancerogene per l’uomo (classe 1) e quella genericamente “rossa” nella classe 2A (la seconda in ordine di gravità, quella del “probabilmente cancerogeno”) ha fatto tremare milioni di tavoli e sedie qua e là per il mondo. Intere aziende si sono sentite in pericolo e quasi tradite dagli scienziati nutrizionisti, che un attimo prima continuavano ad affermare che la carne era un validissimo alimento per la qualità delle sue proteine e l’apporto di ferro a basso tasso di calorie, un attimo dopo la cacciavano dalle cucine con l’infamante marchio del cancro.

Se avete seguito il dibattito successivo alla notizia avrete notato una cosa: quasi tutti prendevano le difese della carne e dei salumi italiani dicendo che la IARC aveva generalizzato, che il rischio assoluto rimane “basso” e che il vero responsabile sarebbe alla fine un gruppo di sostanze coinvolte più nelle modalità di consumo che la carne stessa:

  • Ammine eterocicliche, idrocarburi policiclici aromatici e diossine (tutti cancerogeni) derivati da fumo e cottura ad alte temperature
  • ferro eme, che quando in eccesso produce il pericoloso radicale libero ossidrile
  • nitriti negli insaccati, che nel processo digestivo diventano pericolose nitrosammine

Sarà così? Può essere, e la stessa IARC lo ha detto chiaramente: la gigantesca review (800 studi) alla base dell’inserimento nei gruppi 1 e 2A non stabilisce i meccanismi, ma evidenzia con certezza l’associazione fra queste carni e il cancro. Il rischio di ammalarsi a causa di insaccati e bistecche è relativamente basso, ma c’è. Esattamente come per l’alcol.

È proprio qui il punto: per anni abbiamo detto che le indicazioni alimentari e le linee guida devono andare nella direzione dei cibi veri e non dei componenti o di singoli principi attivi, e adesso che per una volta arriva un’indicazione che più pratica di così non si può non va bene? Se avessero messo nella classe 1 “la cottura al barbecue” o “l’uso dei nitriti come conservante” avrebbero complicato la faccenda: etichette dei salumi da esaminare (per un prosciutto crudo senza nitriti ce ne sono venti con, e chi si ricorda a memoria le sigle E249 o E250?), discussioni infinite da parte di quelli che “io il barbecue lo so fare, non faccio mica fumo come voi altri” e via azzuffandosi, fino all’oblio mediatico dell’allarme iniziale.

Invece l’indicazione che ne deriva è, per una volta, chiara: evitate la carne conservata e anche con quella rossa andateci piano. Semplice, comprensibile a tutti, anche a chi non sa nulla di biochimica e processi industriali. Non si può dire che con l’industria alimentare ci siano andati leggeri, stavolta.

Per le bevande alcoliche (etanolo: classe 1) è noto da tempo, ed è solo questione di tempo e arriverà la notizia anche per il caffè. La tostatura produce una quantità di acrilammide (classe 2A) che non può più essere ignorata, anche se la presenza di polifenoli può mascherare l’effetto finale nel complesso della dieta. I polifenoli del caffè sono così abbondanti che nelle junk-diet di tipo nordamericano (poche verdure e poca frutta) rappresentano addirittura la fonte preponderante di antiossidanti, dunque facendo la review di tutte le ricerche i fattori confondenti andranno isolati con maggior fatica e attenzione. Ma è solo questione di tempo.

D’altra parte guardando il tutto da un punto di vista più ampio fate caso a questo: i cibi coinvolti in questi allarmi sono sempre forzature rispetto ad un’alimentazione veramente naturale, che da un punto di vista strettamente teorico (anche se “socialmente” poco sostenibile) dovrebbe essere composta di alimenti il più possibile vicini alla loro forma integra e originaria e non trasformata, conservata, raffinata. Ripeto: per come è strutturata la nostra società abbiamo ormai una serie di vincoli di cui tenere conto (disponibilità alimentare, conservazione dei cibi e sicurezza sanitaria) ma questo non toglie che l’uomo in fondo è ancora un primate che per milioni di anni si è evoluto adattandosi (e pure a fatica) ad una precisa serie di alimenti, e fare tentativi al di fuori di questo insieme di cibi può esporre a rischi biochimici e fisiologici, c’è poco da fare. In alcuni casi può andare bene, in altri meno, e dobbiamo tenerne conto studiandone gli effetti a lungo termine. Fa parte del metodo per prove ed errori con il quale l’uomo ha valutato, nel corso dei millenni, i vari alimenti. Più empirico in passato, più scientifico adesso.

Ecco perchè la IARC ha ragione, e questo approccio “per cibi” piuttosto che “per sostanze” è giusto. La carne va consumata con parsimonia: facciamocene una ragione e vivremo tutti meglio. Anche il pianeta.


Risposte

  1. Ottimo articolo!
    Da tempo sono iscritto alla newsletter della Harvard School of Public Health e alcuni anni fa mi arrivò una mail con un articolo nel quale si affermava che la stragrande maggioranza degli studi sull’effetto della carne non aveva fatto distinzione tra carne rossa semplice (raw meat) ed elaborata (processed) e che, analizzandoli meglio, l’associazione tra cancro e carne rossa semplice non si evinceva.
    Tra qualche anno, a mio parere, si giungerà alla conclusione che consumare un pò di carne rossa SEMPLICE, ricavata da animali allevati in modo sano non comporta nessun rischio di cancro.
    A mio parere i ricercatori del settore medico non hanno una grande dimestichezza con la statistica….

    • Ciao Gianni,
      la dimestichezza con la statistica ce l’hanno, il problema è spesso la base statistica dei dati: purtroppo le ricerche non vengono ancora fatte (e in passato era pure peggio) tutte con una struttura che le renda adatte a review successive, con le variabili ben distinte. Fare queste ricerche in campo alimentare è comunque difficile: non puoi costringere un gruppo di controllo affidabile (migliaia di soggetti) a mangiare SOLO carne conservata e non fresca per vent’anni e un altro il contrario per vedere le differenze, non è praticabile. Poi una grossa fetta delle basi statistiche è ancora rappresentata da “vecchi” studi sui quali pendono grossi sospetti di affidabilità (interviste tardive, superficiali, verticalizzate su aree geofrafiche o etniche o professionali ristrette, ecc.). Il grosso lavoro della IARC è stato scorporare variabili affidabili da tutto quel marasma di 800 diversi studi.
      Sono d’accordo con te: alla lunga è probabile che un consumo sporadico di carne fresca e non semicarbonizzata (ad esempio bollita) sarà assolto, ma per ora i comportamenti di massa dei consumatori vanno indirizzati con semplicità: non sapendo come cuoceranno la carne fresca che comprano al supermercato, e visto che nel 90% dei casi la cuoceranno male, l’indicazione corretta è dire “calate il consumo”.
      Sulla carne conservata è stato più facile (infatti è adesso in classe 1) perchè ci sono popolazioni statistiche dove i consumi di carni processate (wurstel, salsicce, inscatolati, semiconserve, ecc.) rappresentano l’80% e più delle vendite, e dunque scorporare la variabile “carne rossa fresca” è stato più facile.

  2. Sono tutte cavolate.
    Basta conoscere la differenza fra rischio assoluto e rischio relativo.
    Perché non informate la gente, invece di disinformarla?

    • È presto fatto: a capodanno essere uccisi da un proiettile vagante ha un rischio assoluto molto basso. Indossare un giubbotto antiproiettile riduce il rischio relativo del 90%, ma andare alla festa di capodanno con il giubbotto antiproiettile non migliora sensibilmente il rischio assoluto.
      Il consumo massiccio di carne processata aumenta del 18% il rischio di cancro al colon rispetto ad un consumo sporadico. Se il rischio assoluto di partenza è basso (ad esempio solo 35.000 morti all’anno nel mondo) il rischio assoluto finale rimane basso (i morti salgono a soli 40.000 nel mondo). Per la carne rossa si stima un aumento relativo del 17%, su 50.000 morti/anno/mondo. Il problema è che in casi particolari (presenza di insaccati ad elevato livello di nitriti) quel rischio assoluto di partenza è probabilmente molto più alto, come lo è in certe aree geografiche (nordamerica, nordeuropa) dunque un aumento relativo del 17-18% non è trascurabile (basta vedere i dati epidemiologici in USA e qualche preoccupazione viene fuori).
      Per avere un termine di paragone, i morti per alcol sono 600.000 anno/mondo (20 volte di più), quelli per inquinamento 200.000 anno/mondo (6 volte di più). Tanti di più? Pochi? Per chi rimane sano sono pochi, ma per chi si ammala…
      In ogni caso la IARC ha stabilito la correlazione, dell’effetto dei rischi assoluti e relativi si occupa poi chi redige le linee guida. È probabile che l’effetto sulle linee guida verrà fuori nei prossimi anni.

  3. È la dose che fa il veleno. Verdura a parte (ed in parte frutta), ogni alimento ha il proprio dosaggio, al di sopra del quale vi possono essere effetti più o meno dannosi per l’equilibrio dell’organismo.

    • Ciao Stefano,
      certo, anche l’acqua in eccesso può essere letale, ma non fa parte della classe 1 delle sostanze cancerogene per l’uomo. Si può discutere ore sul rischio assoluto che rimane basso, ma per l’alcol (classe 1 pure lui) è la stessa cosa: il rischio zero si ha solo con assunzione zero.
      Comunque lo scopo del post è di sottolineare che finalmente si comincia a parlare di cibi e non più di singole sostanze. Quanta carne conservata si può o non si può mangiare è un altro discorso, ma capisci anche tu che mangiare due-tre wurstel giganti tutti i giorni per decenni non sembra una pratica salutare, non è paragonabile ad eccedere con la frutta ad esempio.

  4. Premesso che il rischio 0 non esiste: si tratta semplicemente di definire cosa possa comportare il sovradosaggio di ciascun elemento, in termini “potenziali”. Senza dimenticare che la questione si fa molto complessa in quanto gli alimenti interagiscono tra di loro, per cui avere un sovradosaggio di più alimenti può risultare devastante… così come il consumo di un certo alimento può sopperire o porre argine all’abbondanza di un altro alimento ritenuto potenzialmente dannoso (esempi banali: consumare molta fibra contrasta l’innalzamento dell’indice glicemico in seguito al consumo di carboidrati non integrali, consumare assieme cereali e legumi permette l’assunzione di tutti gli amminoacidi essenziali). Per cui, oltre che discutere giustamente dei singoli alimenti, non si dovrebbe mai dimenticare di quanto poi sia importante specificare che a far la differenza è come questi alimenti vengono inseriti all’interno di una dieta settimanale/mensile (in quale quantità ed in quale modalità).
    Mangiare 3 wurstel al giorno per 10 anni non è magari neppure possibile, al terzo anno si potrebbe essere già dell’altro mondo :D, ma del resto consumare 1 wurstel alla settimana risulta probabilmente superfluo ai fini della salute… sempre che a questo non si aggiungano salsicce, bistecche alla brace, spuntature di maiale, ciccioli fritti, panzanelle e coda alla vaccinara.

    • Sì, tutto giusto e condivisibile, ma ripeto che lo scopo principale del post è di rallegrarsi per il fatto che le raccomandazioni scientifiche cominciano a parlare di cibo e non più di sostanze. Ti faccio un altro esempio: il metileugenolo (estragolo) è anche lui in classe 1. Se un consumatore medio lo legge nella lista dalla IARC cosa ne ricava? Nulla, se non sa che l’estragolo è abbondante in basilico giovane, semi di finocchio, anice ecc. Qualche anno fa l’INRAN (ora CREA-NUT) tentò di tradurre questo avviso di pericolo nella regola di non dare più estratti o tisane di semi di finocchio ai lattanti (per le coliche) per via della cancerogenicità dell’estragolo, ma la cosa andò un po’ a morire e ancora oggi se ne vendono ancora, e magari qualche naturopata ne consiglia ancora l’uso alle mamme.


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