Il mondo delle ricerca scientifica è come un mercato, dove i banchetti sono i gruppi di ricerca, i prodotti sono gli studi, e i clienti?
Comodamente seduti in autobus, leggete dell’ennesima ricerca: l’assunzione giornaliera di un bicchiere di latte per un mese ha aumentato del 5% l’incidenza di forfora in un gruppo di cinquanta studenti fuori corso del Midwest: smettete di bere latte, vero? Per sempre, giusto? Diventate crociati invincibili contro il turpe predominio degli allevatori di vacche pezzate, sì? Ditemi che lo fareste, altrimenti siete una vera eccezione. Va bene, voi probabilmente non lo farete, ma qualcuno sì, statene certi. I nervi dei ferventi internettologi sono ormai a fior di pelle, basta un nonnulla per scatenare l’inferno. Gli stessi che poi, appena cerchi di calmarli, ribattono che l’uomo è l’unico animale che beve il latte di un’altra specie. Ah ecco. Ok. Mi arrendo. Smettete pure di bere latte allora, ce ne sarà di più per gli altri. Sì, sì, è un gomblotto, avete ragione.
Ma non è colpa loro, o meglio, non solo. È colpa loro perché invece di studiare scienze al pomeriggio, dopo la scuola, andavano alle giostre o a tirare sassi ai piccioni (e ora sanno tutto perché usano google), ma è colpa anche di chi, sapendo bene che il pubblico è anche questo, diffonde notizie di scienza con la stessa attenzione con cui raccoglie le deiezioni del proprio cane durante la passeggiata. A proposito, se volete smettere di leggere fatelo subito, altrimenti non lamentatevi, ok?
Prendendo in mano una rivista di cinque anni fa si leggeva che i grassi saturi erano la maggior causa di morte, ma adesso no, per carità, i saturi sono un toccasana, basta che siano a catena corta, badate bene. E i cibi grigliati o, sventura delle sventure, bruciacchiati? Fino alla scorsa estate erano più mortali della morte nera, ma oggi no, se sono vegetali potete mangiarli anche carbonizzati, anzi magari fanno perfino bene, chiosano le riviste femminili. Conosco un tizio che da quando ha letto che “il licopene, un toccasana per la prostata, è più assimilabile nei pomodori cotti”, si rifiuta categoricamente di mangiarli crudi, “che oltretutto crudi acidificano”, dicono su internet. Ferma, ferma tutto ragazzi, mettiamo un po’ di ordine.
Questo isterismo è dovuto alla non conoscenza del metodo scientifico e all’eccessiva importanza che viene data ad ogni singola ricerca, come fosse la parola ultima e definitiva su un argomento. La ricerca appare, all’occhio superficiale, come un rumoroso e caotico mercato, con le sue migliaia di voci, le urla, la miriade di colori e di prodotti, un po’ come quello della foto in alto. E giù a criticare la scienza, accusata di essere confusa, caotica e contraddittoria. Il problema però non è la scienza, ma come viene interpretata. E una delle cause maggiori è l’incomprensione del suo riduzionismo. Se osservate un banchetto del mercato che vende viti e bulloni, vi aspettate forse di avere notizie attendibili sui colori di moda questa estate o sulla qualità della frutta? Certo che no. Vi convincete che, siccome quest’anno sono molto richieste le pinze rosse, anche i pantaloni e le mele dovranno essere rossi? Neanche per sogno. Ma divulgatori e googlenauti che traggono conclusioni simili sulla scienza ne trovate, eccome.
Riduzionismo. La scienza sviluppa di continuo strumenti e metodi per andare sempre più nel dettaglio dei fenomeni. Non è raro leggere ricerche su un singolo gene del DNA, composto da una manciata di molecole, il cui unico effetto è magari rendere più o meno chiari i peli del braccio. Molti, troppi vedono questo come una pericolosa deriva della scienza, un incombente pericolo di “perdere di vista l’elefante” studiandone solo i peli della coda. Ma nessun vero scienziato smette di pensare all’elefante, mai, e credere il contrario è il primo errore di pessimi divulgatori e gomblottisti.
Interpolazione. È normale, avendo in mano alcuni elementi sperimentali, astrarre da questi una teoria più generale. In matematica esiste l’omonima tecnica grazie a cui, dati alcuni punti, posso trovare la funzione che li comprende tutti: più punti uso più la funzione è attendibile, ma li devo usare tutti. Nel metodo scientifico si usa una metodica simile: ogni nuova teoria deve soddisfare tutte le evidenze sperimentali precedenti, nessuna esclusa, anche quelle scomode. L’errore interpretativo è costruire teorie basandosi solo su alcune evidenze (ricerche e studi), quelle che fanno più comodo. Se un banchetto vende solo pere verdi, non è detto che tutte le pere in vendita al mercato siano verdi. Questa infatti non è scienza, questo lo fanno i pessimi divulgatori o chi vuole ingannarvi. Nessun vero scienziato usa solo alcuni risultati per arrivare ad una ipotesi generale, mai.
Togliamoci subito il pensiero: esistono ovviamente scienziati scorretti, corrotti o anche mediocri, ma la solidità del metodo scientifico è che sono soggetti al controllo di tutti gli altri (peer review). Ne basta solo un altro che dimostri (con un nuovo studio o prove contrarie) che questi hanno torto e l’essere scorretti o corrotti servirà a ben poco. Anche al mercato ci sono i banchi mediocri o quelli disonesti che offrono prodotti di bassa qualità o contraffatti, ma il controllo degli altri commercianti e dei clienti li eliminerà.
Se i banchi del mercato rappresentano i vari gruppi di ricerca e gli studi sono i loro prodotti, aggirarsi freneticamente per i banchi fra tutta quella confusione alla ricerca della verità non ci renderà informati, probabilmente ci confonderà sempre di più. Allora facciamo così: alziamo lo sguardo e cerchiamo una di quelle torri che dominano la piazza, andiamoci, facciamo tutte le rampe di scale fino in cima apprezzando piano per piano, dalle finestrelle, come la visione si allarghi sempre di più, e arrivati in cima mettiamo i gomiti sul davanzale e ammiriamo la nuova visuale, ora completa, di tutto il mercato. I banchi li vediamo nel loro contesto, i loro prodotti li possiamo confrontare con quelli del loro vicino, ci rendiamo conto anche di come i clienti si aggirino isterici da un banco all’altro, inconcludenti, come i divulgatori che vogliono farci credere cose assurde o i googlenauti che smettono di mangiare i pomodori crudi. Prendiamo poi un drone, di quelli che fanno quelle bellissime riprese a volo d’uccello, e liberiamolo. Possiamo dominare il mercato dall’alto o scendere di quota, fino ad arrivare al singolo banco, al singolo prodotto, e studiarlo da vicino, ma potendo sempre contare sulla visione d’insieme, rialzandolo.
Dobbiamo fare così anche con il mercato delle ricerche scientifiche sulla nutrizione, i loro divulgatori, le loro conclusioni. La torre e il drone ce li costruiamo studiando. Ci possiamo subito rendere conto se i risultati di uno studio molto particolare vengono esasperati fino ad arrivare a conclusioni di comodo, ma false: basterà alzare il drone o salire sulla torre, inquadrandoli nel contesto più generale. Da lì le cretinate appariranno in tutta la loro fragilità.
Il nostro approccio alla nutrizione funziona così, e non ci ha mai deluso.
Interessante la metafora del mercato per spiegare alcuni concetti di base della filosofia della scienza, complimenti! Il meccanismo del peer review però ha delle falle intrinseche.
By: Andrea on 31 luglio 2015
at 22:56
Grazie Andrea,
sì, le falle nei sistemi complessi sono inevitabili, si cerca di lavorare con il metodo “migliore possibile” aggiustando via via. Dimmi ad esempio quali falle ritieni peggiori e vediamo di parlarne. Bisogna mediare fra la Scienza nella sua purezza e gli scienziati nella loro umanità.
By: pades on 2 agosto 2015
at 10:03
Si però attenzione al monossido di diidrogeno… è ovunque e finirà con l’ammazzarci tutti. Gomblottiamolo!
By: Sam on 1 agosto 2015
at 15:48
Ah Ah, sì, la vicenda dell’H2O aveva raggiunto, all’epoca, aspetti grotteschi e anche patetici.
By: pades on 2 agosto 2015
at 10:05
Bentornato Pades. Ci mancavi…
By: Cecilia on 2 agosto 2015
at 22:14
Grazie. :-)
By: pades on 5 agosto 2015
at 22:58