
Fetta di pane
Come promesso, ecco un post che racconta a che punto siamo con la produzione casalinga di pane (integrale ovviamente). Per mia fortuna (e meno male, visto il tempo che ci abbiamo messo a raggiungere un risultato accettabile) fin da bambino ho potuto vedere mia nonna all’opera: ha fatto il pane in casa fino a 80 anni, e ne faceva sette/otto filoni da più di un chilo per volta, ogni 10 giorni. Ancora ricordo che per noi bambini in vacanza era sempre una novità, e ci alzavamo alle 4 per vedere il primo impasto e poi il rito dell’accensione del forno a legna, e durante la prima lievitazione si preparavano gli ingredienti per la pizza e l’impasto per le torte (il forno era grande). A quei tempi si usava la farina “0”, la pasta madre e, come in gran parte del centro Italia, era senza sale. L’esperienza di fare il pane rafforza quello che è già impresso nei geni umani da secoli, e cioè la piacevole sensazione di autosufficienza e completezza che dà il sapere preparare l’alimento considerato da sempre la base dell’alimentazione, e trasmettere l’usanza ai bambini era ed è fondamentale per la nostra cultura alimentare.
Al giorno d’oggi sappiamo che per fare il pane la più salutare è la farina integrale (sembra modernizzazione, in realtà è un ritorno indietro di un secolo), e abbiamo mantenuto la lunga lievitazione (neutralizza gran parte dell’acido fitico contenuto nella crusca, ne riparleremo in uno dei prossimi post), abbiamo reintrodotto altri cereali (avena, farro) e continuiamo a farlo senza sale.
Il metodo che seguiamo non è sicuramente l’unico nè il migliore, ma ci fa produrre un ottimo pane integrale multi-cereale, che si conserva morbidissimo per giorni e che ricorda quello prodotto fino ai primi anni del ‘900, prima dell’introduzione del pane bianco industriale.
I cereali usati erano più di uno (si usava quello che c’era), la lievitazione lunga, ma ne derivava un pane molto valido dal punto di vista nutrizionale e radicato nei costumi alimentari da secoli.
Visto che la lievitazione è lunga spesso lo prepariamo la sera per cuocerlo poi la mattina successiva (e dunque di solito o il venerdì o il sabato sera) o la mattina per cuocerlo nel pomeriggio/sera. Le dosi, come da tradizione, sono a occhio: si parte cioè, come succedeva una volta, dalla quantità di farina che si ha a disposizione (spesso non sappiamo neanche quanta sia esattamente e in che proporzioni sono i vari cereali, l’importante è che il frumento sia più o meno la metà) poichè si aggiusta l’acqua strada facendo. Con il tempo si abituano infatti l’occhio ed il tatto alla quantità di farina per dosare il lievito, l’acqua e la consistenza della pasta.
Gli ingredienti:
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La farina: usiamo farine integrali biologiche di vari cereali: frumento, principalmente (è il più adatto alla lievitazione, lo intuirono già gli antichi romani), poi farro e avena. In futuro proveremo anche la segale, che però tende a rendere pesante l’impasto e limita un po’ la lievitazione. Appena ne troveremo di adatta proveremo anche quella di kamut.
La farina integrale di frumento biologica si trova anche al supermercato, dove troviamo anche un’ottima farina biologica integrale di farro macinata a pietra. Le altre farine (avena, segale, kamut, …), nella versione bio e integrale, le troviamo solo nei negozi di alimentazione naturale. -
Il lievito: purtroppo non riusciamo a stare ancora dietro al mantenimento della pasta madre, dunque usiamo quella essicata (negozi di alimentazione naturale, detta anche ‘pasta acida’) associata al lievito di birra. Di questo nei negozi di alimentazione naturale se ne trova di biologico, ma va benissimo quello del supermercato. Come dosarli visto che con la farina si va a occhio? Le prime volte si può pesare il tutto, comunque con una lunga lievitazione, per evitare (quando il pane è cotto) l’odore di lievito, sono sufficienti 15 grammi di pasta madre essicata e poco meno di un panetto di lievito di birra da supermercato (20 dei suoi 25 grammi) per ogni chilo di farina (dosi dimezzate per mezzo chilo di farina). E’ inutile pesare i milligrammi: se se ne mette un po’ di più la pasta lievita meglio ma rimane magari l’odore di lievito, se se ne mette di meno lievita un po’ meno, ma basta aumentare le ore di lievitazione. Dopo un po’ di volte si trova il compromesso che piace di più.
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L’ingrediente segreto: la patata. Una patata media lessata per ogni chilo di farina rende il pane morbidissimo e vi dimenticherete la crosta e il pane duri.
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L’acqua: deve essere tiepida, dai 30 ai 38 gradi, non clorata. Oltre i 40 gradi una parte dei fermenti del lievito muore. In una parte sciogliamo il lievito di birra, il resto la aggiungiamo poco per volta impastando.
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Il sale: di solito non lo mettiamo. A chi piace, conviene aggiungerlo all’impasto in una fase avanzata, in modo che non venga a contatto direttamente con il lievito, poichè tende a diminuirne la forza. In alternativa si può salare ben bene l’acqua di cottura della patata, che ne assorbirà una buona parte.
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Ingredienti aggiuntivi (semi di sesamo, uvetta, olive, noci, olio, ecc.): vanno aggiunti dopo la prima lievitazione, nel secondo impasto.
Come facciamo:
Formiamo un monte di farina sulla spianatoia (teniamo da parte un po’ di farina per spolverare ogni tanto mani, piano di lavoro e impasto) e la mescoliamo con la pasta madre essicata e la patata lessata, lasciata intiepidire e schiacciata. Formiamo poi un cratere e aggiungiamo lentamente, impastando, il lievito di birra sciolto nella parte d’acqua. All’inizio l’impasto sembra asciutto, poi aggiungiamo a poco a poco l’acqua impastando sempre con il tipico movimento di schiacciare e spingere la pasta con i polsi e ripiegandola su se stessa, fino ad ottenere (dopo circa 15 minuti) un impasto morbido che tende ad attaccarsi alle mani ma non alla spianatoia.
A questo punto mettiamo la palla di pasta in una ciotola unta di olio (così non si attaccherà) che ne possa contenere almeno un volume triplo, la copriamo con un canovaccio e la poniamo a lievitare in un luogo senza correnti d’aria e con una temperatura di almeno 22 gradi. Ultimamente usiamo il forno chiuso, e quando siamo in inverno lo facciamo prima leggermente intiepidire, per non lasciarla nel metallo freddo.
Lasciamo dunque lievitare almeno sei ore, arrivando anche a otto/nove, a seconda degli altri impegni. Se la lievitazione è troppo lunga e il lievito troppo abbondante si rischia di “passare la lievitazione”, ottenendo un pane sempre commestibile ma più acido, più basso e con la pasta più pesante.
A questo punto rimettiamo l’impasto lievitato sulla spianatoia (appena lo tocchiamo sembrerà sgonfiarsi, ma niente paura) e gli diamo velocemente la forma del pane finale (o tanti piccoli panini, o focaccia) e lo rimettiamo nel forno, ancora spento, a lievitare per altre due ore, dopodichè accendiamo il forno a 180/200 gradi e cuociamo per circa 45/50 minuti (se la forma è media; 50/55 se è grande; per pizza, focaccia o panini 35/40).
Un’alternativa è mettere l’impasto a fare la prima lievitazione in una forma da cottura già definitiva (ha lo scopo di contenerla, se no si allarga a focaccia) come una terracotta da forno di dimensioni adeguate o una forma in carta da forno (come quella dei panettoni) e cuocere direttamente dopo le sette/otto/nove ore di prima lievitazione senza toccare la pasta, ottenendo un pane molto più spugnoso, leggero e alto, ma senza la possibilità di aggiungere altri ingredienti. E’ una tecnica adatta a forme medio/grandi.
Per la cottura è meglio usare la griglia (con un foglio di carta da forno) e non la piastra, poichè il metallo, che conduce troppo il calore, fa bruciare la parte sotto del pane.
Se vogliamo fare la focaccia o la pizza aggiungiamo al secondo impasto due cucchiai d’olio extra vergine di oliva ogni mezzo chilo di farina e appiattiamo fino all’altezza voluta, tenendo presente che lieviterà ancora un po’. Con foglie di rosmarino sopra (vedi foto) e/o olive o capperi è squisita.
Una volta cotto, lasciamo il pane nel forno aperto per una decina di minuti, poi lo lasciamo raffreddare scoperto. Non bisogna infatti temere che l’umidità che evapora lo possa fare indurire, non accadrà.
Un ultimo consiglio: la prima volta probabilmente il pane verrà male, pesante o immangiabile. Ci vorrano tre/quattro tentativi per fare un pane soddisfacente, ma dopo avere superato quello scoglio (non tutti ci arrivano e abbandonano prima) il resto sarà in discesa, e per i bambini un divertimento assicurato e un “gioco” diverso dal solito.

Focaccia

Pane integrale
All’inizio pensavamo che preparare il pane in casa fosse troppo impegnativo, che portasse via troppo tempo, ma prendendoci la mano è diventata una piacevole attività, anche se non abitudinaria. In fondo il tempo che serve veramente è quello della preparazione (una mezz’ora fra cottura della patata e preparazione di lievito e postazione di lavoro), dell’impasto (venti/trenta minuti fra primo e secondo) e seguirne la cottura. Il resto del lavoro lo fa la lievitazione, durante la quale si può fare altro.
Piuttosto è bene non esagerare con il consumo, presi dall’entusiasmo : un chilo di pane integrale fornisce almeno 2300 Kcal, molte. Vanno suddivise su più giorni o molti consumatori, tenuto conto che gli ultimi studi e ricerche raccomandano una quota di calorie provenienti dai carboidrati che non superi il 55% del totale, dunque il pane non deve essere la loro unica fonte: ci sono anche i cereali (muesli) della colazione, i carboidrati dei legumi, la pasta, il riso, gli zuccheri della frutta…
Ma nessuna di queste considerazioni intacca la soddisfazione che si prova davanti a una forma di ottimo pane ancora caldo prodotta con le nostre mani.
ciao!
sono elisa, e condivido l’amore per l’alimentazione naturale. pratico la macrobiotica da non molto tempo, ma ti posso assicurare che, per quanto riguarda il pane, mi è risultato subito facilissimo fare in casa la mia pasta madre, senza bisogno di inserire altro nell’impasto che ACQUA e FARINA. Queste due componenti insieme, nel giro di circa una settimana, fermenteranno e ti daranno l’ingrediente centrale per un buon pane; il segreto è di fare un buon impasto iniziale (lavorato circa mezz’ora; può sembrare tanto, è vero, ma impastare fa benissimo al cuore!) che non sia troppo sodo, e porlo in una ciotola di vetro a riposare, coperto con un piatto (niente canovacci, assorbono l’umidità e rallentano tantissimo la fermentazione). Quindi per i primi 5 o 6 giorni – ma dipende comunque dal livello di fermentazione – ravvivarla 2 volte, la mattina e la sera, tenendo il contenitore lontano da correnti o spiragli. La temperatura ideale di fermentazione è intorno ai 20 °C ma nelle stagioni fredde è comunque possibile ottenere la pasta madre cercando di conservare l’impasto nei luoghi caldi e riparati della casa. La pasta comincerà a dare segni di ingrossamento, (a volte strabocca!!!) ed assumerà una conformazione a groviera: tutti quei buchini sono il segno che si stanno verificando le trasformazioni chimico-fisiche di trasformazione degli amidi della farina in un prodotto che, una volta cotto, sarà molto più facilmente digeribile e sano. Inoltre si comincerà a sentire “puzzo” di yogurt… niente paura, è molto simile all’odore del lievito per dolci, solo con una connotazione più selvatica! quest’odore, una volta utilizzata la pasta in cottura, si trasformerà nello splendido aroma del pane!
passata la prima settimana, rinfrescare la pasta una sola volta al giorno; poi, quando vi sentite pronti, toglietene un pezzettino e provatela! Quella avanzata si conserva benissimo, va riattivata con altra acqua e farina una sola volta alla settimana, o si può conservare in frigo sempre per una settimana; nel caso che si debba partire si può stenderla e farla seccare, quindi chiuderla in un barattolo ridotta in scaglie. Può resistere così per anni ed essere subito riutilizzata una volta reimpastata!!
Provate provate provate provate!! Sarà un’altra grande soddisfazione e vi verranno delle pizze da dio…
By: Elisa on 7 marzo 2010
at 11:59
Grazie Elisa, ottimi consigli: proveremo. :-)
Poi con il caldo della bella stagione in effetti è più facile. Una domanda: come fai a ravvivare la pasta madre? Aggiungi solo farina a spolvero sopra e comprimi un po’ o la rimpasti anche? Dopo quanti “cicli” di panificazione la rinnovi da zero?
Sulla conservazione per lunghi periodi so anche che alcuni la mettono in freezer, dove anche lì si è conservata vitale per anni.
By: pades on 7 marzo 2010
at 22:42
scusate l’ignoranza ma che differenza c’è tra farina di grano duro e farina di grano tenero dal punto di vista nutrizionale?
By: broccolo on 5 gennaio 2011
at 20:42
C’è pochissima differenza. E’ sempre frumento. Come ce n’è poca fra differenti qualità di riso ad esempio, o di farro.
By: pades on 5 gennaio 2011
at 22:56
Rieccomi per una risposta più precisa (ieri ero occupato con la scrittura del post sui cereali integrali). Dal punto di vista nutrizionale come ho detto c’è pochissima differenza (un pelo più di proteine in quello duro, ma quasi ininfluente). Ovviamente è diverso l’uso che se ne fa, come è noto. La pasta fatta con il grano duro è nettamente superiore. Il pane di grano duro ha un ottimo sapore ma quello di grano tenero è molto più diffuso. Anche per la pasta fresca all’uovo fatta in casa usiamo la semola integrale di grano duro, e viene eccellente.
By: pades on 6 gennaio 2011
at 21:22
grazie!
By: broccolo on 12 gennaio 2011
at 23:18
ciao
ho visto la tua ricetta per il pane, che stavo cercando, in quanto vorrei provare a farlo nel mio forno a legna, che ho appena ristrutturato
E’ possibile e come posso fare? grazie
By: Carla on 5 marzo 2011
at 15:45
Certo, nel forno a legna il pane viene molto buono. Ho seguito per anni, da bambino, la preparazione del pane nel forno a legna di mia nonna, ma non ne sono espertissimo. So che va scaldato bene, e una volta spento il fuoco e creata la brace che va messa di lato il pane può essere infornato. Se hai un termomentro da forno la temperatura dovrebbe essere sui 300 gradi. Ricordo che per scaldarlo serviva un’ora e anche più, e che il pane (forme da un chilo) cuoceva 50 minuti.
Se hai ristrutturato il forno ti conviene chiedere ad un esperto la procedura per accenderlo le prime volte a temperature basse (sui 100 gradi non di più) per far allontanare l’umidità residua ed evitare crepe.
By: pades on 5 marzo 2011
at 23:15
ciao mi è venuto un’altro dubbio!
quanto tempo posso lasciare il lievito madre a temperatura ambiente? una settimana?, no, perchè l’ultima volta che ho fatto il pane il lievito era molto scuro e iniziava ad essere coperto da una patina bianca che credo fosse muffa….
By: broccolo on 24 Maggio 2011
at 21:01
Nell’antichità la conservazione della pasta madre era un bel problema. Si doveva conservare per settimane, anche mesi, e il rischio di muffe (se sono verdi, o gialle, butta tutto) era alto e molte “paste madri” sicuramente si perdevano per strada. Mia nonna, prima di avere il frigorifero, la conservava per 4-5 giorni nella madia con la farina, in una specie di anforetta di terracotta, coperta di farina. Con l’avvento del frigorifero l’ha poi sempre conservata in frigo (e se lo faceva, dopo decenni nell’altro modo, è perchè si trovava sicuramente meglio). Soprattutto in estate, con il caldo, il rischio che andasse a male era alto se le panificazioni non erano ravvicinate. Tieni anche presente che le quantità erano diverse: una volta la pasta madre era tanta (si produceva tanto pane), oggi in casa produciamo si e no due pagnotte, dunque la massa è più piccola, si secca prima e probabilmente resiste in modo diverso. Comunque al giorno d’oggi io preferirei conservarla in frigo, sempre ben infarinata. Per ovviare all’ambiente umido del frigorifero ho letto che alcuni la conservano in barattoli o contenitori ben chiusi.
By: pades on 25 Maggio 2011
at 12:35
e del forno a microonde che ne pensi?
(non per cuocere il pane ovviamente!)
By: francesco on 14 agosto 2011
at 21:18
Beh che dire… dal punto di vista fisico non ha nessun effetto dannoso sui cibi. Per scaldare velocemente cibi già cotti può andare bene. Sul sapore dei cibi cotti nel microonde, viste le temperature più basse, va a gusti. In linea puramente teorica preserva addirittura meglio le vitamine e i nutrienti termolabili.
Unica cosa su cui non metterei la mano sul fuoco è sulla tenuta dei forni di bassa qualità, nel senso che se non sono costruiti più che bene possono perdere microonde nell’ambiente, e di elettrosmog ne abbiamo già fin troppo per aggiungerne altro…
Personalmente non lo abbiamo, ma solo perchè abbiamo ancora un vecchio fornetto elettrico che usiamo per le cotture veloci e per scaldare che funziona ancora benissimo.
By: pades on 27 agosto 2011
at 14:56
io ho preso l’abitudine di scegliere i chicchi di grano sia tenero che duro o farro, li produce un mio amico coltivatore, quindi li macino direttamente, il mio dubbio è: quanto tempo deve passare prima di usare la farina integrale prima di impastarla? Ho sentito dire che ci sono dei processi in cui gli enzimi devo compiere dei lavori, qualcuno dice da una a due settimane, è vero?
Infine io faccio il pane azzimo a forma di piadine che cuocio sulla pietra ollare a circa 200 gradi, le piadine si gonfiano è normale?
By: Luciano on 24 febbraio 2012
at 14:48
Che io sappia, più la farina è macinata di fresco meglio è. In fondo appena macinata è il più possibile simile al chicco intero da cui deriva. Le primordiali focacce erano fatte pestando i chicchi, impastandoli e cuocendoli all’istante. Il chicco macinato, infatti, si conserva peggio del chicco intero. Magari quello che hai sentito si riferisce alla fitasi, che si attiva con ambiente umido-caldo-acido, ma lo stesso effetto e anche più accelerato lo hai facendo lievitare (o riposare) l’impasto prima della cottura (vedi post sull’acido fitico).
Se si gonfia è perchè rimane aria imprigionata nell’impasto, penso sia un bene! Vuol dire che hai impastato bene, e una volta cotta sarà più morbida.
Ciao e grazie.
By: pades on 28 febbraio 2012
at 18:07