La tensione è palpabile. Il silenzio inquietante. Gli sguardi di sottecchi si incrociano rapidi e un’improvvisa parola squarcia l’aria: “DICA…?!?”. Non è mezzogiorno di fuoco, vecchio west, ma pasticceria italiana, interno giorno.
“Ehm, volevo dei cioccolatini…”, dico chiudendo frettolosamente il libretto degli ingredienti appeso alla parete, ma quello che cercavo l’ho già trovato: gli ingredienti della pasta dei loro gustosi salatini, punto di forza di questa pasticceria: “farina 00, margarina, acqua, sale”.
E’ una delle ultime tappe di questo mio viaggio alla ricerca dei grassi perduti, nella produzione artigianale e industriale dei prodotti da forno. Non che negli altri posti sia andata meglio. Leggere il libro degli ingredienti al banco pasticceria/panetteria/piatti pronti dei supermercati è stata un’epopea. Dai libretti semi-nascosti a quelli messi proprio sul bancone (se li leggi vieni subito classificato come il rompiscatole di turno). Alcuni li mettono su un leggìo a fianco del banco, ma sono pochi. Molti ti guardano come per dire “non ti fidi?”. Quando una volta mi sono attardato a leggere gli ingredienti di tutte le merendine e i biscotti temevo stessero per chiamare la sicurezza. Non è che non mi fido, è che anche rimanendo nella legalità si possono usare ingredienti non proprio salubri e farli passare per tali, e questo proprio non mi va giù.
Ma cosa stavo cercando? I grassi che appartengono purtroppo ormai alla preistoria dei prodotti da forno o a qualche isolato produttore: burro e olio extra vergine di oliva. Quasi estinti. Costano troppo, e non rendono quello che costano. La margarina e gli “oli vegetali” invece rendono i prodotti più duraturi, più fragranti, più croccanti, più leggeri, ma… (c’è sempre un ma) non pù sani. E nessuno ha il coraggio di dirlo. Interessi economici? Tanti. Marketing rampante? Troppo.
Ora finalmente, per legge, colombe, panettoni e pandori devono essere fatti senza l’uso di grassi idrogenati, ma solo con burro, altrimenti devono essere chiamati con altri nomi (Dolce Pasquale, Torta pasquale, Dolce di Natale, ecc.). Una fra le tante ottime leggi sui prodotti alimentari che abbiamo in Italia, ma ancora insufficienti. Basta dare al dolce la forma della colomba e il consumatore medio la prenderà per tale, anche se si chiama “Dolce dell’Isola di Pasqua” e contiene margarina. In Nord America (USA e Canada) dal 2006 è obbligatorio indicare in etichetta la presenza e la percentuale di grassi trans (hanno capito che fanno male). Perchè in Europa ancora no? La legge sull’etichettatura, in materia di grassi utilizzati, è ancora poco vincolante. Se ho capito bene è obbligatorio indicare se si usano grassi idrogenati, ma sulle etichette si trova una miriade di varianti e sfumature, molte delle quali fatte per mascherare o sorvolare sull’utilizzo di grassi di dubbia origine.
Tutto è cominciato una sessantina di anni fa, quando cominciò una campagna mediatica mondiale per convincere tutto il mondo occidentale che i grassi saturi fossero molto dannosi per il sistema cardio-vascolare. E’ vero, ma ad essere dannoso è l’eccesso (per lo più di carne e formaggi) e la sproporzione fra saturi e insaturi (vedi post). E all’industria alimentare fece comodo, perchè potè piazzare nel ciclo produttivo, dando loro addirittura un’immagine salvifica, i “naturali” e “vegetali” grassi idrogenati e i loro cugini, gli oli tropicali (cocco, palma e palmisti). Erano perfetti: i costi di produzione erano ridicoli e la resa tecnologica elavatissima, ed erano pure gustosi; i nutrizionisti li osannavano perchè erano vegetali, non animali come i “cattivi” grassi saturi; i consumatori si sentivano più vegetariani e più leggeri. Peccato che migliaia di studi li hanno identificati come il peggior danno al sistema cardio-circolatorio del secolo. Prima di tutto non è vero che sono meno saturi. I grassi idrogenati (molte margarine) subiscono questo trattamento proprio per “sembrare” saturi, e l’organismo ci crede. Infatti li usa per le membrane cellulari, ma non vengono molto bene.
Gli oli di cocco, palma e palmisti, poi, hanno più grassi saturi del burro (dall’80% fino al 90% contro il 65%, e sono pure a catena più lunga dunque meno digeribili), e quindi peggiori. E la spiegazione è semplice: nei climi tropicali le piante devono produrre grassi più solidi per resistere meglio al calore del sole. Lo sa anche la nostra pelle, che per difendersi è composta da una certa percentuale di grassi saturi, meno suscettibili all’ossidazione causata dal calore e dunque meno produttori di radicali liberi. Molti studiosi sospettano infatti un legame fra l’aumento di melanomi (cancro della pelle) negli ultimi decenni negli USA e in Australia e l’introduzione massiccia di grassi idrogenati e oli polinsaturi, facilmente ossidabili dal sole se finiscono nella pelle, e dunque produttori di radicali liberi pro-cancerosi. I grassi trans (che si formano durante il processo di idrogenazione e raffinazione) sono mine vaganti nelle arterie, dove si possono stratificare fino ad occluderle.
E così ora, dopo anni, anche le industrie alimentari stanno cominciando a fiutare il pericolo (di cali delle vendite, non per la salute dei consumatori, cosa avete capito?), ed ecco le diciture più bizzarre comparire in etichetta:
“oli e grassi vegetali“: dicitura volutamente vaga e naturalistica che maschera quasi sempre l’origine dei grassi: cocco, palma o palmisti. Ma magari anche colza, soia, arachidi, sesamo… chi lo sa? Ma perchè non mettono l’origine dei grassi? Se usassero l’olio di oliva, o anche di girasole, lo metterebbero a caratteri cubitali, degli altri si vergognano? Come possiamo noi consumatori fidarci a comprare un prodotto di cui lo stesso produttore si vergogna? E’ un’usanza diffusa anche fra i produttori “naturali” e “bio”, purtroppo. Chi usa questa dicitura quasi sempre ha fatto del contenimento dei costi una priorità, a discapito della qualità.
“oli e grassi vegetali non idrogenati“: analogo a “oli e grassi vegetali”.
“oli e grassi non idrogenati“: perchè usano gli oli di cui sopra, ma magari anche strutto. Chi può saperlo, con una dicitura così vaga?
“margarina non idrogenata“: ottenuta per frazionamento (ancora più grassi saturi) o per interesterificazione (processo chimico: innaturali).
“margarina vegetale“: (e meno male che è vegetale: si possono usare anche i grassi animali per produrla) probabilmente è idrogenata (grassi trans).
“margarina“: come sopra, ma potrebbero essere stati usati grassi animali e vegetali misti.
“oli e grassi parzialmente idrogenati“: i peggiori, per la presenza di grassi trans, ma chi li indica è paradossalmente più onesto, perchè almeno lo dice. La parola “parzialmente” vuole essere vagamente migliorativa, ma i grassi “totalmente idrogenati” hanno invece molti meno grassi trans, anche se sono densi come una cera e dalla valenza nutrizionale minima. Nessuno usa la dicitura “totalmente” perchè dal punto di vista del cliente medio è peggiorativa, ma usa piuttosto “grassi idrogenati“. In pratica sono tutte margarine.
Oppure alcune aziende (ancora poche) tornano sui propri passi e riprendono ad usare olio di girasole, olio di oliva e burro, premiate dal maggiore consenso dei consumatori informati. Alcune aziende non se ne erano mai allontanate, e ne avevano fatto un vanto, anche se derise dalla concorrenza che vendeva allo stesso prezzo ma con costi di produzione molto più bassi. Ho davanti a me un sacchetto di biscotti, di cui riporto l’etichetta:
Ingredienti: farina integrale di grano tenero, farina di grano tenero tipo “0”, latte fresco, zucchero, burro, miele, lievito, sale, aroma vaniglia, aroma arancio. E sono biscotti che ho trovato al supermercato, a un prezzo inferiore a quelli di marca, con la margarina, vicini a loro. E sono sempre stati così. Se ne vedono sempre di più, fortunatamente. Ci sono anche aziende che fanno eccellenti biscotti con olio extra vergine di oliva. Costano un po’ di più, è vero, ma se ne possono consumare di meno, favorendo la linea. Mia zia mi ha passato la sua antica ricetta per la pasta frolla fatta solo con olio extra vergine di oliva. L’ho assaggiata: è spettacolare. Proveremo a farla anche noi (versione integrale e con pochi zuccheri) e posterò dosi e risultati.
Insomma, la mia ricerca pasquale dei grassi perduti, iniziata fra sconsolazione e duelli con il pasticcere, si conclude con un raggio di ottimismo e di conferma delle idee macrobiotiche (il cui scopo è la salute, non il profitto): ingredienti naturali, semplici ed essenziali, cibi poco elaborati, tradizione, etica. E’ quello che ci vorrebbe per una nuova industria alimentare. Potrà succedere?
Una chicca finale: sentite questo stralcio di etichetta (di biscottini, al supermercato): “farina 00, zucchero, margarina,…, aromi naturali e simili ai naturali…” ma cosa avranno voluto dire? Non potevano mettere “aromi”, ed evitare iperboli letterarie?
Leggendo sempre le etichette ci guadagnamo in salute e umorismo…
Molto interessante questo articolo, mi ci sono ritrovata. Anch’io sono di quelli che dovunque si trovi si ferma a leggere le etichette (e ho notato che ci manca solo un faretto tipo occhio di bue quando ti accosti al libro degli ingredienti in pasticcerie e supermercati), di quelli che si ferma a leggere le etichette anche al Naturasì, di quelli che ci restano male quando trovano l'”olio vegetale (non idrogenato)” come ingrediente dei crackers de “La finestra sul cielo”, di quelli che si scandalizzano in silenzio quando gli amici parlano del nuovo prodotto “dietetico” (e super-costoso) appena uscito perché hanno guardato l’etichetta solo per leggere le calorie …
Che bello, quando leggo i tuoi articoli mi sento un po’ meno sola! Ciao!!!
By: Mara on 7 aprile 2010
at 14:03
Vero, bisogna stare attenti anche nei negozi di alimentazione naturale. Durante i miei giri ho trovato, in un’erboristeria che frequento, una colomba pasquale biologica (marca sconosciuta, non la ricordo nemmeno) che come grasso aveva “margarina”. Sono rimasto molto deluso, soprattutto perchè vuol dire che chi gestisce il negozio non ha minimamente controllato… visto che si professano macrobiotici super-attenti… e costava pure 10 euro, come quelle con il burro o l’olio di girasole.
By: pades on 7 aprile 2010
at 14:51