Pubblicato da: pades | 9 marzo 2012

Ricalcifichiamoci (non è mai troppo tardi)

Lo sapevate che un pacchetto di snack molto salati ci erode dalle ossa parecchi mg di calcio, e che se è nostra abitudine gustarli spaparanzati sul divano davanti alla TV è ancora peggio? Non vi ha mai convinto (e avete ragione) la diceria che i latticini provochino l’osteoporosi? Non credete assolutamente (e anche qui siete nel giusto) che sia sufficiente strafogarsi di latticini per avere ossa sane? Volete sapere di quanti mg di calcio abbiamo veramente bisogno ogni giorno? Bene, questo è il post che fa per voi (c’è anche una tabella che non troverete da nessuna altra parte). E’ un po’ lungo, ma parlare di calcio, ossa e osteoporosi in cinquanta righe sarebbe stato poco serio, inutile e sicuramente sbagliato. E in più ci ho messo anni a capirci qualcosa! Potete anche stamparlo (ma solo se necessario: non sprechiamo carta…) e leggerlo con calma. Versione pdf cliccando qui.

Ossa e calcio

Ossa e calcio

“Tarda età, ossa fragili, carenza di calcio”: questo è, nella maggior parte dei casi, lo scenario che gran parte delle persone immagina parlando di osteoporosi. Le donne più informate sanno anche che la menopausa è uno spartiacque per la salute delle ossa, ma oltre queste quattro informazioni generalmente non si va. Non parliamo poi di andropausa agli uomini: molti non sanno neanche che esista. Dai mass media si sente dire tutto e il contrario di tutto: chi consiglia i latticini e chi dice che sono un veleno, chi dice di limitare le fibre e chi dice addirittura che servono, chi demonizza le proteine e chi dice che senza le ossa si sfaldano, e via confondendo. Dopo aver immerso inutilmente le braccia fino ai gomiti nel pantano informativo, va un po’ meglio se ci si rivolge alla scienza. Approfondendo e studiando, tutto sembra inquadrabile in un’unica spiegazione, anche se, per ammissione degli stessi scienziati, accanto a quelli ormai ben conosciuti ci sono alcuni meccanismi metabolici e di assorbimento del calcio e degli altri minerali che sono ancora poco chiari, o per lo meno da approfondire: succede che ci siano ricerche che nel giro di pochi mesi riescono apparentemente ad affermare e smentire la stessa tesi, anche se nella maggior parte dei casi è perchè il problema, visto da angolature diverse, dà risultati diversi. E’ da qui che si origina la Babele mediatica su risultati e conseguenze di molti studi: tutto questo bel calderone, amplificato maldestramente da una macchina dell’informazione ormai abituata a non approfondire, superficiale e desiderosa di notizie iperveloci, produce un vortice di segnali e informazioni contradditori e mutevoli, che invece che semplificare il problema sembrano complicarlo e portano molti di noi a non capirci più nulla. Ma l’argomento è veramente così ingarbugliato? E perchè?

L’argomento non è ingarbugliato, e la spiegazione è semplice: questi sono i tipici sintomi di un problema multifattoriale, nel quale cioè non ci sono solo uno o pochi elementi preponderanti, ma una complessa interazione e sinergia di variabili, ciascuna con un potenziale ruolo decisivo a seconda delle situazioni. Per certi versi simile alle patologie cardiovascolari o al cancro: tutti malanni senza un colpevole e una cura ben determinati perchè legati ad una moltitudine di cause, concause, fattori scatenanti e favorenti, e tutti con gradi di influenza comparabili.

Come tutti i problemi multifattoriali la soluzione sta nello studiarlo da tutti i punti di vista, mettendo a fuoco tutte le variabili e ottenendo poi una visione di insieme (e con un approccio saldamente scientifico tipico della macrobiotica come la intendiamo noi). Proviamoci dunque: vedremo quali sono i punti fermi a cui è giunta la scienza e i consigli che se ne traggono per favorire la futura salute delle ossa nei bambini e recuperare dove possibile quella degli adulti. Perchè oltre ad essere un problema multifattoriale, questa malattia può porre le sue basi già in tenera età, come sintetizzò già negli anni ’70, genialmente, Charles Dent: “L’osteoporosi senile è una malattia di pertinenza pediatrica” (1). Affermazione attualissima vista la scarsa qualità dell’alimentazione diffusa fra i giovanissimi.

Vedremo che spiccano subito tre grandi elementi: esercizio fisico, calcio e vitamina D. Riguardo il calcio ci sono tre ulteriori possibilità: potremmo non assumerne abbastanza con l’alimentazione, potremmo non assorbirlo bene o a sufficienza, e da ultimo potremmo perderne troppo, il tutto per molteplici motivi. Trasversalmente, elementi che vanno dal nostro corredo genetico alla evoluzione della specie umana alle abitudini alimentari. Gli infiniti intrecci di queste e altre variabili minori che scopriremo possono portare a svariate possibili gradazioni di salute delle ossa, dal benessere totale all’osteoporosi più grave.

Un intreccio interessante che cercheremo di districare, e per farlo il post è così suddiviso:

  1. Cosa succede dentro di noi? Le ossa e il metabolismo del calcio (introduzione)
    1. Le ossa sono vive
    2. Atomi a zonzo
  2. Cose interessanti che è bene sapere (approfondimenti)
    1. Quanto calcio serve
    2. Assorbimento del calcio: quanto e come
    3. Perdere è peggio che non guadagnare
    4. Chi controlla il metabolismo del calcio?
    5. L’interessante mistero del calcio e dell’evoluzione
    6. Miti, leggende e co.
  3. E dunque cosa dovremmo fare? (conclusioni)
    1. Esercizio fisico
    2. Calcio, ma non solo
    3. Vitamina D
    4. Proteine: nella giusta quantità
    5. Sodio
    6. Biodisponibilità e assorbimento
    7. Vitamina K
    8. Latticini
    9. Calcio: posso esagerare?

 COSA SUCCEDE DENTRO DI NOI? LE OSSA E IL METABOLISMO DEL CALCIO.

Per capire meglio come funziona il metabolismo di questo minerale nel nostro corpo seguiamo l’ipotetico viaggio di un manipolo di atomi di calcio, usandolo come espediente per un giro turistico fra ossa, ormoni, vitamine e proteine. Servirà per dare un’occhiata d’insieme al panorama e proporre spunti da approfondire più avanti.

Inquadriamo la scena iniziale: un gruppetto di atomi, che se ne sta tranquillo nel terreno di un campo coltivato a broccoli, dopo una bella giornata di pioggia viene catturato dalle radici di una pianta, che piano piano li ingloba nei suoi tessuti. A qualche chilometro di distanza, invece, vive un altro protagonista della nostra storia, un ragazzino che chiameremo Luca.

Mentre aspettiamo che il broccolo cresca e lasciamo momentaneamente Luca a giocare, esaminiamo uno dei fondali della storia: il nostro scheletro. Contrariamente a quello che si pensa è tutt’altro che un apparato statico nel tempo, anzi è un cantiere continuo, anche in età adulta. Osteoblasti e osteoclasti, le cellule deputate a depositare e prelevare i minerali dalle ossa, sono sempre attive ad ogni età e passano il tempo stazionando nei pressi e dentro il tessuto osseo. Il calcio e gli altri minerali vengono continuamente inseriti e prelevati dalla matrice ossea (a base proteica, formata da fibre collagene) a seconda delle numerose necessità dell’organismo (mantenimento del ph fisiologico, trasmissione dei segnali nervosi e muscolari fra cui il controllo del battito cardiaco, coagulazione del sangue, ecc.) e ai conseguenti segnali ormonali. Biologicamente infatti lo scheletro, oltre che essere un sostegno per il corpo, è anche il deposito di minerali dell’organismo: all’alba dell’evoluzione dei vertebrati la natura, non potendo immagazzinare in grande quantità i minerali negli organi molli e men che mai nel sangue, ha trovato la geniale soluzione di abbinare allo scheletro la doppia funzione di struttura portante e di deposito di minerali. E’ dunque perfettamente normale che le ossa vengano continuamente disfatte e ricostruite, l’importante è che il bilancio, ovviamente, rimanga positivo. Durante l’infanzia e l’adolescenza, come nel caso del nostro amico Luca, le ossa crescono, e il bilancio deve essere fortemente positivo, fino al raggiungimento del picco di massa ossea, la massima densità e massa possibile secondo il nostro individuale patrimonio genetico ereditato dagli avi, che si completa intorno ai trent’anni con l’arrivo del profondo cambiamento ormonale che sancisce la fine della fase di crescita. Da quel momento, qualunque sarà l’apporto di calcio e altri minerali, densità e massa ossea non supereranno mai quel limite, e da questo si intuisce l’importanza di arrivare alla fine della crescita con le ossa nelle migliori condizioni possibili. L’affermazione di Dent comincia a spiegarsi: durante il resto della vita le necessità dell’organismo tenderanno a prelevare minerali dalle ossa, e starà all’alimentazione reintegrare, giorno per giorno, le perdite. Partendo da una buona situazione dello scheletro sarà tutto molto più facile.

Nel frattempo il broccolo è stato raccolto dal campo e per vie traverse è arrivato nel piatto di Luca, che si sta preparando ad un pomeriggio piuttosto movimentato di sport: una partitella di calcio (ironia della sorte) con gli amici. La cottura non ha minimamente disturbato gli atomi di calcio, che in men che non si dica si ritrovano nello stomaco. Usciti dallo stomaco, già nel duodeno l’allegro gruppetto nota che sta succedendo qualcosa: grazie alla abbondante presenza di vitamina D (dovuta ai pomeriggi passati al sole a giocare) questo primo tratto dell’intestino tenue ha prodotto una vagonata di particolari proteine, il cui scopo è di legarsi al calcio che capita loro a tiro (assorbimento attivo, vedi oltre). Oltre un terzo del gruppetto viene acchiappato dalle proteine, attraversa le pareti del primo tratto dell’intestino (digiuno) e viene liberata nel circolo sanguigno. Un’altra parte, più piccola, riesce ad attraversare le pareti dell’intestino dal digiuno fino ad un tratto successivo del tenue (ileo), insinuandosi tra una cellula e l’altra (assorbimento passivo). I restanti continueranno il loro viaggio fino al colon: qualcuno di loro forse verrà assorbito, gli altri verranno inesorabilmente espulsi, e saranno quasi la metà del gruppo di partenza (e va bene perché Luca è in crescita: in un adulto se ne perderebbero quasi due terzi).

Una volta nel circolo sanguigno, i superstiti del nostro gruppetto iniziano un allegro viaggio per i vasi. Quando sono in fila nei capillari della pelle sentono il calore del sole (nel frattempo la partita è iniziata) e assistono alla produzione di vitamina D3, che entra in circolo con loro e mano a mano che procede si accomoda nei tessuti adiposi, dove può rimanere per mesi. Passando nei vasi del collo i nostri chiassosi compari vanno a stuzzicare i sensori della tiroide, che percepiscono l’affollamento di calcio nel sangue (Luca ha mangiato anche un pezzo di formaggio, e la calcemia sta salendo parecchio) e fanno rilasciare alla ghiandola l’ormone calcitonina, che porta per l’organismo il messaggio “… ok, c’è abbastanza calcio: l’intestino rallenti l’assorbimento, i reni non lo trattengano più di tanto e soprattutto gli osteoblasti, nelle ossa, ne accumulino più che possono …“. Infatti sfuggono per miracolo alle porte che i reni hanno aperto, per il calcio, verso la vescica, e si dirigono verso le gambe. Il collo del femore nel frattempo, a causa della concitata partita a calcio, è sottoposto a parecchia pressione, e un bel fronte di calcificazione si sta preparando grazie al lavoro di un folto gruppo di osteoblasti, che non vedono l’ora di avere per le mani un bel carico di minerali da mettere nell’osso, visto che il messaggio della calcitonina li ha già messi in allerta. Quando vedono arrivare la nostra comitiva di atomi di calcio, il lavoro è presto fatto: in poco tempo cristalli di idrossiapatite (fosfato di calcio) si formano e vengono stipati nella matrice ossea di collagene (a base proteica), e gli osteoblasti vi si sistemano come in tante nicchie entrando in una specie di letargo, diventando vere e proprie cellule del tessuto osseo, gli osteociti. Un nuovo, robusto strato di osso si forma.

Passano i mesi, e il nostro amico Luca si ritrova, per un veloce pranzo con gli amici, davanti ad hamburger e patatine fritte, anche piuttosto salate. La digestione dell’eccesso di proteine produce un bel po’ di molecole di ammoniaca, e anche l’acidità del sangue comincia a salire. Anche smaltire tutto quel sale non è facile, e tutti i sistemi tampone richiedono, fra l’altro, molto calcio. La riserva in circolo per il sangue viene rapidamente intaccata, e la calcemia scende molto velocemente. I sensori della paratiroidi se ne accorgono subito, e viene rilasciato immediatamente un bel quantitativo di paratormone. Il suo messaggio è chiaro: “chiunque detenga calcio è pregato di rilasciarlo in circolo, il prima possibile”. Un drappello di osteoclasti che presidiano il collo del femore, dove i nostri amici atomi erano stati stipati, cominciano a smobilitare i minerali dal tessuto osseo, creando tante micro-cavità con la promessa di riempirle di nuovo, appena possibile. Lasciano questo incarico a una squadra di osteoblasti che rimane lì, in attesa di tempi migliori. A malincuore i nostri amici atomi vengono invece impiegati per neutralizzare l’acidità, e diventano materiale di scarto. Finiscono nei reni, che tentano in ogni modo di trattenere i superstiti, ma senza riuscirci. La loro permanenza nell’organismo di Luca è finita, e tornano nella terra.

Non pensiate che tempi così veloci di mobilitazione del calcio nel nostro scheletro siano campati per aria. Il turnover di minerali nelle ossa è così elevato che corrisponde ad un ricambio completo dello scheletro ogni due anni nei bambini e nei ragazzi, ogni sette-dieci negli adulti. Non ve lo aspettavate? Bene, è con questa notizia che iniziano le…

COSE INTERESSANTI CHE E’ BENE SAPERE.

Ma quanto calcio serve all’organismo e quanto riusciamo ad assimilarne di quello che mangiamo? Una volta cresciuti e raggiunto il picco di massa ossea il lavoro è tutt’altro che finito, e l’introito di calcio deve continuare. La convinzione di molti adulti che “da grandi” l’apporto di calcio possa essere sottovalutato è ovviamente un grave errore. In ogni momento della giornata le esigenze di calcio dell’organismo vengono soddisfatte da quello presente in diluizione nel sangue (circa 10 grammi in tutto) e se ne serve altro gli osteoclasti, stimolati dai segnali ormonali delle paratiroidi (che tramite i loro sensori sentono la concentrazione di calcio nel sangue –la calcemia– e producono il PTH), erodono un po’ di osso e lo mettono in circolo. Questo circolo però non è chiuso: per quanto i reni (se il calcio scarseggia) facciano il possibile per riassorbire il calcio ed evitare che vada perso con l’urina, quote di calcio (circa il 2%) non riescono a essere salvate (vedi i nostri amici atomi) e oltre che con l’urina vanno perse con le feci, il sudore, le lacrime, il ricambio della pelle, dei peli e dei capelli. Questa quota fissa è di circa 300 mg al giorno, e questi 300 mg vanno reintegrati, pena un’erosione ossea eccessiva. E’ questo il motivo per cui tutti giorni dobbiamo assumere calcio con l’alimentazione. Beh, direte voi, 300 mg sono pochissimi, e facili da reintegrare! Non è così semplice, perchè il calcio che introduciamo con gli alimenti non è tutto assimilabile (biodisponibile) e lo è in maniera diversa nei vari alimenti, nei vari pasti e a diverse età. Nei bambini l’assorbimento intestinale è maggiore, negli anziani diminuisce. Il calcio dei latticini è assimilabile anche oltre il 60%, quello di alcune verdure a foglia (per via di ossalati e fibre) solo dal 5% al 10%. Quello dei legumi più o meno lo stesso, per via di fibre e fitati, mentre il calcio dell’acqua è ben assimilabile (fino al 50%). Molto dipende dalle fonti di calcio e dalle associazioni alimentari, ma il succo è che per averne 300 mg puliti ne dobbiamo assumere molto di più: nell’ambito di una dieta varia e corretta l’assorbimento medio oscilla dal 35% al 40%, ed ecco perchè le linee guida (per l’Italia quelle validissime divulgate dall’INRAN) indicano un fabbisogno alimentare di circa 1000 mg al giorno per i bambini, 1200 per i ragazzi, 800 mg per gli adulti sani, 1000 per gli anziani (1200 per le donne post-menopausa non soggette a terapia ormonale sostitutiva). Queste quantità servono ad assicurare nella maggior parte (95%) della popolazione quei famosi 300 mg netti di cui non possiamo fare a meno, per restare almeno in parità fra entrate e uscite nel caso degli adulti, per raggiungere il miglior picco di massa ossea possibile per i piccoli. Questi valori sono stati stabiliti anche tenendo conto della quota-soglia di calcio, ossia il punto al di sotto del quale la massa ossea diminuisce se diminuisce la quantità introdotta e al di sopra del quale la massa ossea non aumenta più anche aumentando l’introito. Le linee guida americane sono più esigenti (oltre i 1000 mg anche per gli adulti sani) ma gli studi recenti danno ragione alle più parche indicazioni europee (vedi anche più avanti: biodisponibilità).

Assorbimento del calcio: quanto e come? Come abbiamo visto non tutto il calcio che ingeriamo con gli alimenti viene effettivamente assorbito. I meccanismi di assorbimento sono fondamentalmente due, uno attivo e uno passivo.

L’assorbimento attivo avviene nell’intestino tenue (quello prossimale, cioè quello più vicino allo stomaco), nel quale attraversa le membrane tramite particolari proteine a cui si aggrega (prodotte in loco dalle stesse mucose su segnale della vitamina D). E’ saturabile e governato dalla richiesta dell’organismo tramite ormoni (vitamina D, PTH, calcitonina, estrogeni) fino ad un certo livello oltre il quale il calcio non viene più assorbito (il sistema, appunto, si satura). Secondo esperimenti fatti (26) questo avviene già all’incirca con il calcio dato da un vasetto di yogurt (3 mM, cioè 120 mg). Il secondo meccanismo, quello passivo, avviene per diffusione e non è saturabile (cioè: più ce n’è, più ne passa, senza una soglia), sempre nell’intestino tenue (più o meno tutto) e meno nel colon. In questo caso il passaggio avviene fra gli spazi cellulari e non dipende dai segnali ormonali o da proteine di trasporto, ma sembra sia facilitato da proteine come la caseina e alcuni zuccheri come il lattosio. L’assorbimento per diffusione non è trascurabile, tanto che, in caso di carenza di vitamina D che favorisce il meccanismo attivo, quello passivo può addirittura diventare la via di assorbimento predominante (può succedere in neonati e anziani). In media, ai giorni nostri, l’assorbimento passivo apporta dal 5% al 20% del calcio assorbito (cioè quello che abbiamo definito “netto”). Più è alta la dose di calcio, più la percentuale sale (26).

Il meccanismo nel suo complesso è dotato di una certa elasticità. Può gestire periodi di scarso apporto di calcio (il meccanismo attivo può aumentare l’assorbimento fino a raddoppiarlo: dal 35% fino a quasi il 70% di quello ingerito), come capita durante la crescita, o di norma nelle comunità sottonutrite presso le quali l’apporto giornaliero di calcio è bassissimo. Può anche gestire sovradosaggi, nel qual caso l’eliminazione urinaria ha un’impennata. Oltre che sull’assorbimento intestinale l’elasticità si basa anche sul riassorbimento renale, che in caso di necessità è in grado di trattenere fino al 98% del calcio che passa attraverso il suo filtraggio, ed è regolato principalmente dal PTH. Ma al di sotto di una certa soglia di calcio anche questa elasticità non è più sufficiente: l’assorbimento più di tanto non aumenta (il 70% di quello ingerito sembra essere il limite massimo). Ovviamente sono stati fatti innumerevoli studi per saggiare quale sia la soglia minima di mantenimento, e si è visto che al di sotto dei 400-500 mg di calcio al giorno l’organismo non riesce ad essere in attivo, per quanto si sforzi: quei 300 mg che vengono giornalmente persi non vengono completamente rimpiazzati. Se la scarsità di calcio ingerito con gli alimenti si protrae per lunghi periodi il danno si aggrava sempre più, erodendo inesorabilmente le ossa (o nei bambini e ragazzi non facendo raggiungere un buon picco di massa ossea, dunque rachitismo, osteopenia…). Interessante lo studio (27) condotto su due comunità yugoslave molto simili per corredo genetico, attività fisica, esposizione solare ma differenti per carico di calcio: 400 mg/giorno in una, 900 mg/giorno nell’altra. Ebbene, la prima comunità soffriva di maggiori osteopenia ed osteoporosi, contrariamente alla seconda. Sembra proprio che l’organismo non riesca ad adattarsi più di tanto se per lunghi periodi la quota giornaliera scende sotto i 500 mg (per i quali è sufficiente poco più di una tazza di latte). E’ grazie a questa elasticità che molte fonti (ad es. (2)) ritengono le indicazioni americane (1000 mg per gli adulti) ma anche quelle europee (800 mg) un po’ troppo “abbondanti”, ma attenzione: questa elasticità funziona solo se il meccanismo di assorbimento attivo funziona a dovere, e dunque se i livelli di vitamina D sono adeguati. In molti paesi con economie povere (Africa, ad esempio) l’apporto quotidiano di calcio è bassissimo, al limite del sufficiente, ma l’esposizione solare è abbondante, come anche l’attività fisica, cosa che non accade da noi. Alla luce di questo le linee guida europee paiono adeguate alle nostre latitudini e abitudini, pur tenendo conto di questa capacità di adattamento.

Come vedremo meglio più avanti parlando di biodisponibilità, è anche questa elasticità del meccanismo che giustifica le apparenti variabilità delle percentuali di assorbimento che si riscontrano nei vari studi.

Perdere è peggio che non guadagnare. Anche considerando questa adattabilità del sistema, un fattore decisivo per l’osteoporosi, più di quanto calcio assumiamo, è la sua eccessiva perdita, che trova le sue cause principali nella sedentarietà e nell’acidosi causata da un eccesso di proteine nella dieta, ma anche ad esempio nella carenze di alcune vitamine (vitamina D in testa) o nell’eccesso di sale, tutte cose che, chissà perchè, ci ricordano lo stile di vita occidentale moderno… Vedremo più avanti i particolari, ma è fondamentale capire che la perdita eccessiva è peggiore del mancato reintegro, poichè rimettere calcio nelle ossa è per l’organismo molto più difficile: necessita della concomitanza di molti fattori favorevoli (attività fisica, situazione ormonale, giusta quantità di minerali, vitamine D e K, …), mentre l’erosione ossea viene scatenata molto più facilmente e senza troppe spiegazioni nelle situazioni in cui il metabolismo ha urgenza di minerali.

Chi controlla il metabolismo del calcio? Il mantenimento del giusto livello di calcio nel sangue (calcemia) e il metabolismo di questo minerale sono troppo importanti perchè la natura li demandi ad un solo meccanismo di controllo, perciò l’organismo si affida all’intreccio di almeno quattro ormoni, le cui azioni si completano e controllano a vicenda (PTH, calcitonina, vitamina D, ormoni sessuali).

L’ormone paratiroideo (o paratormone, o PTH – ParaThyroid-Hormone) viene prodotto dalle paratiroidi quando la concentrazione di calcio nel sangue diminuisce. Ha diversi effetti:

  • aumenta il riassorbimento renale del calcio a livello del tubulo distale
  • aumenta l’eliminazione renale del fosforo (che come vedremo ha un metabolismo “antagonista” al calcio)
  • attiva ed aumenta a livello renale l’attivazione della vitamina D (di contro, alti livelli di vitamina D attivata rallentano la produzione del PTH)
  • Agisce su osteoclasti (li attiva, e cominciano ad erodere l’osso) e su osteoblasti (li frena, smettono di depositare) ottenendo come risultato un passaggio di calcio e fosforo dall’osso ai liquidi extracellulari e poi al sangue (la calcemia risale)
  • Indirettamente, tramite l’attivazione della vitamina D, aumenta l’assorbimento intestinale di calcio

Già a questo punto si intuisce quanto sia importante un apporto costante di calcio con l’alimentazione: se il calcio nel sangue non è continuamente reintegrato con quello assorbito dagli alimenti le paratiroidi si accorgono del calo e tramite il PTH vengono intaccate le scorte (le ossa). Se il calcio alimentare è insufficiente per lunghi periodi, è evidente quale possa essere il danno osseo.

La calcitonina, invece, entra in gioco quando la calcemia sale. Viene prodotta dalla tiroide ed è antagonista del PTH:

  • aumenta l’eliminazione renale del calcio
  • rallenta l’attivazione nei reni della vitamina D
  • frena l’azione degli osteoclasti e stimola quella degli osteoblasti (promuovendo il deposito di calcio nelle ossa)
  • Indirettamente, frenando l’attivazione della vitamina D, diminuisce l’assorbimento intestinale del calcio

Abbiamo parlato finora di attivazione della vitamina D, come se dovesse essere accesa per funzionare. In effetti la forma veramente efficace, che agisce come un vero e proprio ormone, diventa tale dopo aver passato tre diversi stadi (tramite due successivi livelli di attivazione), da una forma “non attiva a quella “pre-attiva a quella “super-attiva. Questo succede perchè la forma super-attiva della vitamina D ha un effetto molto potente e non sarebbe possibile tenerne in circolo una quantità eccessiva: viene prodotta solo quando serve e nelle quantità esattamente necessarie. Le rare supplementazioni di vitamina D super-attiva sono infatti estremamente delicate, vengono dosate con molta attenzione e costantemente monitorate.

L’organismo si procura la vitamina D non attiva (protovitamine D2 e D3) da tre fonti principali (in ordine decrescente):

  • Nella pelle, dove per effetto dei raggi solari (per l’esattezza degli UV-B) e partendo da un derivato del colesterolo (il 7-deidro-colesterolo) si forma la vitamina D3 (colecalciferolo). Alle nostre latitudini circa l’80% della vitamina D proviene da questa fonte
  • Dagli alimenti animali contenenti vitamina D3 (sempre derivata da parte loro, con lo stesso meccanismo, dal 7-deidro-colesterolo), come olio o fegato di pesce, tuorlo d’uovo, latticini
  • Dagli alimenti vegetali (piante e lieviti) che con un meccanismo simile, partendo dall’ergosterolo e sempre grazie alla luce solare, producono la vitamina D2 (ergocalciferolo). E’ quella che viene spesso usata per rinforzare gli alimenti

Le vitamine D2 e D3 così entrate in circolo tendono a depositarsi nei tessuti adiposi e (meno) nel fegato, e fungono da scorta di lunga durata (per l’inverno) di vitamina D da attivare. All’occorrenza il fegato le converte in calcidiolo (è questo il primo livello di attivazione), la forma pre-attiva e che serve come scorta di breve durata “pronta per l’attivazione” che a sua volta si deposita in fegato, muscoli e tessuto adiposo. Il fegato cerca di mantenere la quantità di calcidiolo ad un livello tale che, se e quando serve (ad esempio quando il PTH sale), viene attivata nei reni e trasformata finalmente nella forma super-attiva calcitriolo, la vera vitamina D. Il calcitriolo, cioè la vitamina D super-attiva, ha questi effetti:

  • Aumenta nell’intestino l’assorbimento di calcio e fosforo
  • Stimola gli osteoblasti a depositare minerali nelle ossa
  • Nel rene regola la propria sintesi (feedback): se nei tessuti viene utilizzata e il livello nel sangue cala, la produzione continua, se no l’attivazione viene frenata (sempre per non eccedere nella quantità di vitamina D super-attiva circolante)

La vitamina D super-attiva è un ormone molto potente e ha, oltre che nel metabolismo del calcio, molteplici altri effetti che vanno dall’attività muscolare al cuore al sistema immunitario alla regolazione dell’insulina ed è legata alla prevenzione di svariate forme di cancro, dell’ipertensione e pare anche del diabete di tipo II. Un ormone potente deve essere sempre sotto controllo, e anche per questo la sua emivita è breve, solo 2-4 ore, contro le 2-3 settimane del calcidiolo (quella pre-attiva). Come si può intuire, anche livelli eccessivi di vitamina D sono pericolosi, dunque la supplementazione fai-da-te è da evitare, e in genere deve essere seguita da un medico. Attenzione dunque ad integratori e alimenti fortificati presi di testa propria, in abbondanza e contemporaneamente (proprio per questo di solito gli alimenti con vitamina D aggiunta ne contengono quantità modeste). Nessun problema invece per quella che l’organismo produce da sè in seguito all’esposizione al sole: si auto-regola in base ai livelli già circolanti.

Da ultimi, gli ormoni sessuali (estrogeni, androgeni) esercitano una notevole influenza sul metabolismo del calcio in situazioni particolari (gravidanza, allattamento, crescita, …), ma non solo. Ad esempio, l’importanza degli estrogeni si vede dal fatto che dopo la menopausa la massa ossea nelle donne cala velocemente, tanto da rendere necessaria una maggiorazione della quota giornaliera di calcio, a causa di un meccanismo di minore assorbimento intestinale e maggiore perdita renale. Nell’uomo il calo degli ormoni androgeni (testosterone) è più lento che nella donna, ma dopo l’andropausa il meccanismo e gli effetti sono gli stessi, anche se più diluiti. Alla fine il minore assorbimento e la maggiore perdita, sommandosi, portano gli anziani fino ad un 20-25% di minore sfruttamento del calcio ingerito con gli alimenti. Di contro, durante la gravidanza e l’allattamento, l’iperproduzione di estrogeni e vitamina D stimola l’assorbimento intestinale e la ritenzione a livello renale, come durante la crescita. Durante l’adolescenza, quando lo scheletro si sta costruendo e si va verso il picco di massa ossea, grazie alla favorevole situazione ormonale il bilancio del calcio può essere positivo anche di 200-300 mg al giorno, che se non vengono sprecati con uno stile di vita non corretto vanno tutti in accrescimento delle ossa.

L’interessante mistero del calcio e dell’evoluzione. E’ curiosa, nell’uomo rispetto agli altri animali, la perdita urinaria di buona parte del calcio ingerito, che concorre a rendere più difficile averne a disposizione per il deposito “riparativo-migliorativo” della massa ossea (19). In più nell’uomo occidentale moderno gran parte dei movimenti di minerali da e verso le ossa sembrano dedicate più al mantenimento dell’omeostasi della calcemia (più prioritaria e soggetta ai repentini sbalzi ormonali del PTH) che al deposito osseo (meno prioritario e dai ritmi più lenti). Anche ricerche sugli scheletri fossili anteriori alla nascita dell’agricoltura testimoniano un moderno raddoppio dell’andirivieni di calcio dalle ossa per il mantenimento della calcemia (30). Come mai? Una possibile spiegazione sta nella quantità di calcio ingerita oggi rispetto ai primordi dell’evoluzione: è come se l’organismo fosse abituato ad una assunzione di calcio che oggi definiremmo imponente, quantità su cui è ancora “programmato” ma che oggi non riceve, costringendolo a lavorare al risparmio e sempre sul filo del bilancio negativo, alle prese con un meccanismo di assorbimento e controllo abituato all’abbondanza. Sembra che, alle nostre attuali dosi di calcio, una volta risolta la stabilità della calcemia nel sangue, poco rimanga per le ossa, il che spiegherebbe la cattiva qualità generale degli scheletri del mondo civilizzato. Oltre al fatto che questo sia dovuto al non raggiungimento delle dosi consigliate di calcio, sembra proprio esserci una tendenza dovuta ad un “salto” evoluzionistico-antropologico. Le spiegazioni sono ancora piuttosto approssimative, ma un’ipotesi interessante (21)(25) è che il passaggio preistorico dell’alimentazione da cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore-pastore abbia fatto passare dal 5% a oltre il 50% sul totale la quota di energia proveniente dai semi (cereali), meno ricchi di calcio e potassio e per di più dotati di proteine con aminoacidi in maggior parte solforati (e quindi più acidificanti), portando nel complesso l’uomo ad assimilare meno calcio rispetto ai numerosi millenni precedenti (come contropartita non da poco: l’inizio della civiltà). Questa carenza è stata anche esasperata da migrazioni verso latitudini nordiche alle quali la vitamina D nella pelle viene sintetizzata molto meno. E’ interessante notare come natura e uomo abbiano subito cercato di correggere la situazione con lo schiarimento della pelle e l’utilizzo del latte proveniente dalla pastorizia, recuperando sia la vitamina D che il calcio mancanti, e che la natura abbia avallato la scelta con la persistenza in queste popolazioni dell’enzima lattasi anche in età adulta. Questo circa 12000 anni fa, forse ancora pochi per un adattamento definitivo. Insomma sembra che la natura ci stia ancora lavorando. D’altra parte nessuna specie animale ha avuto un cambiamento così strutturale dell’alimentazione in così pochi millenni… sempre affascinante lo studio dell’evoluzione umana. Penso che per giustificare quel “raddoppio” del rimodellamento osseo andrebbero considerate anche altre responsabilità dello stile di vita moderno, ma siamo ancora alle ipotesi e ulteriori ricerche sembrano necessarie. Ad esempio il nostro metabolismo potrebbe essere ancora tarato su tanti piccoli pasti frequenti (come fanno molti mammiferi) con un apporto più costante di calcio, mentre oggi concentriamo tutta la dieta in due, se va bene tre pasti principali, con una calcemia che tende ad essere intermittente e dunque in balia del PTH che promuove il turnover osseo. E’ un filone interessante che va seguito con attenzione, e sono comunque tutte considerazioni che incoraggiano ancor più un’assunzione adeguata di questo minerale e che ci fanno annotare un’altra variabile (questa volta evoluzionistica) nel gioco della multifattorialità.

Miti, leggende e co. Su calcio e osteoporosi girano un bel po’ di leggende, molte delle quali provenienti da errate interpretazioni o (peggio) mistificazioni del fronte “no-latticini” che galoppa per il web e non. Credenze che è meglio conoscere, per poter giudicare con cognizione le notizie che ci propinano e capire dove vanno a parare gli imbonitori di turno.

Non pensiate assolutamente che io sia un sostenitore dei latticini, che in eccesso (come qualsiasi altro alimento) non vanno sicuramente bene (ma nella giusta quantità sì). Iniziamo perciò smentendo una diffusa leggenda, che è quella che il calcio vegetale sia poco o niente biodisponibile. Vedremo maggiori particolari più avanti (biodisponibilità) ma intanto anticipiamo che ad esempio il calcio delle crucifere (cavoli, broccoli, ecc.) è anche più disponibile di quello del latte, e in più molti di questi vegetali ne sono ricchi quanto il latte. Una leggenda simile a questa (e ancora molto radicata) è quella che l’acqua ricca di calcio (dura, calcarea, …), oltre a non renderlo disponibile, sia nociva e provochi addirittura i calcoli. Ovviamente non è vero niente, anzi il calcio dell’acqua è biodisponibile quanto quello del latte (vedi oltre) ed è perfettamente inutile (anche riguardo i calcoli) la corsa alle acque a bassissimo residuo fisso.

Una leggenda sempre diffusa è quella che nei paesi dove si consumano più latticini sia più alta l’incidenza di osteoporosi. Bene, basta leggere con la dovuta pazienza e attenzione i rapporti epidemiologici dell’OMS e delle varie organizzazioni per la lotta alla osteoporosi (11)(12) per rendersi conto che questa patologia è ormai spalmata su tutto il pianeta, e che i latticini c’entrano come i proverbiali cavoli a merenda. Qualche dato? La Cina, presa spesso come esempio virtuoso di “no-latte -> zero osteoporosi” ha un’incidenza comparabile con gli altri paesi (e in certi casi più alta):

Osteoporosi (non necessariamente legata a fratture) in persone con più di 50 anni in alcuni paesi (11)(12):

  • Svezia: donne 46%, uomini 23%
  • Danimarca: donne 41%, uomini 18%
  • USA: donne 40%, uomini 13%
  • Cina: donne 30%, uomini 9%
  • India: donne 29%
  • Australia: donne 27%, uomini 11%
  • Spagna: donne 26%
  • Canada: donne 25%, uomini 15%
  • Argentina: donne 25%
  • Italia: donne 25%, uomini 10%
  • Cile: donne 22%

Attenzione infatti a non prendere solo in considerazione il tasso di fratture, che può essere fuorviante. Per di più le etnie asiatiche hanno alcuni fattori protettivi che giustificano una minore diffusione delle fratture osteoporotiche: angolo del collo del femore minore, femore più corto, diffusa abitudine (per lo meno nelle vecchie generazioni) a sedersi accovacciati (squatting) che è protettiva per le anche, minore sedentarietà, e soprattutto età media della popolazione più bassa. La verità, come suggerisce la lettura dei vari rapporti, è che ci sono ben altre variabili che hanno fatto innalzare a livello mondiale l’incidenza dell’osteoporosi, pur mantenendola leggermente “indietro” nei paesi meno avanzati: svetta su tutte l’urbanizzazione, che porta a cascata ad una minore attività fisica, minore vita all’aria aperta, minore irraggiamento solare (meno vit. D), meno lavori pesanti, alimentazione più “industriale” (in più, nei paesi emergenti la migrazione verso le città è fatta per scarse risorse economiche, dunque l’alimentazione è pure carente). Esistono specifiche ricerche sui paesi dell’estremo oriente che confermano come nelle aree urbanizzate l’osteoporosi si sia allineata a quella occidentale (nonostante la dieta sia rimasta per lo più quella tradizionale del posto), per rimanere più bassa nelle aree rurali, ma dove le fratture hanno anche un peso statistico minore perchè vengono trattate in casa e non denunciate od ospedalizzate. Nel caso dei paesi scandinavi la responsabilità della maggiore incidenza è legata alla dieta (molte proteine, molto raffinata, molto salata), alla minore esposizione solare, alla sedentarietà, ai migliori strumenti sanitari di diagnosi (ma c’è di più: grazie alla prevenzione, da una decina d’anni in molti di questi paesi l’osteoporosi sta regredendo).

Un’altra divertente leggenda anti-latticini è la sempreverde “teoria del muco“, derivata dall’eredità culturale della vecchia medicina galenica. Per essere ancora più sicuri dell’inconsistenza di questo mito sono anche state fatte ricerche specifiche, nessuna delle quali è riuscita a trovare una correlazione fra latte e produzione di muco. Per la cronaca, quando ho il raffreddore il latte caldo (di quello buono) ha l’effetto di fluidificarmi il muco, altro che renderlo più denso… comunque c’è uno spunto interessante, visto che la teoria del muco si basa sull’asse “latte -> allergia/intolleranza -> muco”: sono in corso ricerche (per il momento con conclusioni ancora poco pubblicate) che dimostrerebbero che il latte biodinamico (nei soggetti predisposti) sia molto meno “allergizzante” di quello industriale (ne riparleremo più sotto, alla voce “latticini”). Il problema per la questione muco riguarderebbe più il come viene prodotto il latte piuttosto che il latte stesso, ipotesi plausibile.

Un’altra argomentazione del fronte no-latte è che nessun animale oltre l’uomo beve il latte degli altri animali. Affermazione lapalissiana, direi: ve lo immaginate infatti un qualsiasi animale, in natura, con le sue zampette, mungere una capra, una pecora o una mucca o un qualsiasi mammifero senza ricevere in questi tentativi un sonoro calcio sul muso? Ma quando ce l’hanno a disposizione… provate a spiegare ai gatti e cani che non devono bere il latte che trovano nella ciotola perchè il latte non è di gatta o di cagna (latte, quest’ultimo, che fra l’altro era venduto e pure apprezzato già nell’antica Roma…), oppure agli uccelli che in passato avevano imparato ad aprire il tappo di alluminio delle bottiglie di latte consegnate la mattina davanti alle case di molti inglesi. Basta poi parlare con qualsiasi contadino per sapere che i maialini in sovrannumero che le scrofe non riuscivano ad allattare venivano allevati con successo a latte di mucca. Dobbiamo sempre tener presente che nessun cibo è adatto all’uomo, ma è l’uomo che si è adattato al cibo. Anzi paradossalmente il latte, il cui scopo è proprio quello di essere un alimento, è per principio esente da tossine, mentre le piante, per difendersi da noi predatori, producono tossine e sostanze dissuasive a migliaia. Sul fatto che una volta che non siamo più “cuccioli” dovremmo smettere di bere latte l’evoluzione ha già risposto 12000 anni fa con la permanenza in molte popolazioni dell’enzima lattasi anche in età adulta (persistenza della lattasi, vedi più avanti).

Ultimo arrivato nel gruppetto delle leggende anti-latte è l’ormai mitico fattore di crescita simil-insulinico IGF-I (insulin-like growth factor), che con una catena di ragionamenti un po’ forzosi collegherebbe i latticini all’IGF-I ad una maggiore incidenza di cancro. E’ bene sapere che l’IGF-I non è presente nei latticini (se non in minimissime quantità) ma viene naturalmente prodotto dal nostro organismo in risposta a esercizio fisico, apporto di proteine e introito calorico (sembra più per i carboidrati che per i grassi), ed è fondamentale per la crescita e il ricambio dei tessuti. Sia una quantità insufficiente che una eccessiva di IGF-I è ugualmente dannosa per le ossa, come è anche ovvio che in presenza di cellule cancerose un fattore di crescita sia in generale pericoloso, e tutto questo vale indipendentemente dai latticini. Quella che è tirata per i capelli è la presunta responsabilità di questi ultimi, probabilmente derivata da una forzosa interpretazione delle ricerche che vengono spesso citate. Dire infatti che “i latticini aumentano i livelli di IGF-I circolanti nel sangue” senza dire di quanto li aumentano non è molto utile per capire, cosa che invece si può fare andando a leggere i vari studi (ad esempio (31), (32) e (33)), dai quali si apprende ad esempio che per il formaggio l’aumento non c’è proprio, per lo yogurt è comparabile a quello del pane e per il latte a quello della pasta o dei cereali in grani. Basta poi considerare qualche altra variabile (come il sovrappeso, o altri elementi della dieta) per vedere che le percentuali di aumento (5%-8% per consumi normali di latte e latticini) vengono facilmente mascherate dagli altri fattori, fra cui anche quello genetico individuale. Ulteriore spunto di riflessione il fatto che da studio a studio le percentuali risultano diverse, spesso contrastanti, segnale del fatto che qualche meccanismo non è stato ancora ben compreso, e che lo studio dell’IGF-I è ancora un territorio in esplorazione (17). Altri fattori fuorvianti possono essere l’uso di fattori di crescita usati negli allevamenti intensivi americani (autorizzati laggiù dai primi anni ’90, ma super-vietati, almeno teoricamente, in Europa), che possono passare nel latte, e un evidente abuso di latticini che viene fatto in Nord America, che incide non poco sui risultati dei questionari utilizzati per gli studi. Insomma, per farla breve, ancora troppo pochi elementi per scrivere sul granito che esistono legami fra un qualsiasi alimento prodotto e consumato in modo corretto e gli effetti dell’IGF-I, soprattutto troppo deboli per farne uno dei maggiori punti di forza della campagna anti-latte, quando in più molti studi riportano che gli effetti protettivi ad ampio raggio dei latticini sovrastano comunque i modesti aumenti di IGF-I eventualmente presenti (33).

E DUNQUE COSA DOBBIAMO FARE?

Detto questo vediamo, divisi per argomento, i principali fattori che è utile tenere sempre sotto controllo per salvaguardare lo stato di salute delle nostre ossa e tirare le somme del problema salute della ossa – calcio – osteoporosi.

ESERCIZIO FISICO. C’è un motivo per cui è il primo della lista? Certo che sì, perchè è il più importante. Se un singolo comportamento alimentare (ad esempio bere o meno latte da piccoli o eccedere nel sale) nell’arco della vita può incidere del 5-6% sulla massa ossea, la sedentarietà può pesare ben oltre il 10%. Un’ottima alimentazione senza un sufficiente esercizio fisico può essere inutile (e non solo riguardo le ossa…), mentre con la corretta attività fisica può portare ad una eccellente salute dello scheletro. Non pensiate che occorra essere atleti o che ne serva molta: quello di cui le ossa hanno bisogno è il movimento che faccia sentire loro tutto il peso del corpo, dunque camminare (sono sufficienti 30-40 minuti di buon passo al giorno) o correre per chi può, mentre sono meno influenti le attività in cui il peso del corpo è secondario (come nuoto e bicicletta, che però fanno benissimo a cuore, muscoli e articolazioni). La stimolazione meccanica ritmica e continua tipica del camminare e del correre aumenta il deposito di calcio nelle ossa di gambe (collo del femore…) e schiena (vertebre), e uno stile di vita attivo pensa poi anche a braccia e collo. Non è necessario fare agonismo ma l’attività (moderata) va fatta per sempre, soprattutto nell’età avanzata in cui si tende a muoversi sempre meno. La mancanza di stimolo fisico tende a ridurre il deposito di calcio nelle ossa. Pensate che gli astronauti, dopo mesi di vita in orbita a gravità ridotta, perdono fino al 13% della massa ossea. A percentuali non tanto diverse arrivano i malati cronici costretti all’immobilità a letto, ma anche passare la giornata spostandosi sempre in auto, in ascensore evitando le “faticose” scale, passando pomeriggi e serate sul divano davanti alla TV e weekend a giocare ai videogames invece di uscire, porta sulla stessa strada. Solitamente uno stile di vita simile è spesso accompagnato da un’alimentazione inadeguata e le due variabili alimentazione ed esercizio fisico, in questo caso negativamente sinergiche, ci portano a braccetto verso l’osteoporosi, neanche troppo senile.

Visto che si è parlato di percentuali è interessante sapere cosa significhi perdere ad esempio il 10% di massa ossea, o che (come vedremo) non mangiare latticini da piccoli può diminuirla del 5%-6% da anziani: sono percentuali importanti? Se avete avuto a che fare con qualcuno che ha misurato la massa ossea (avrà fatto una MOC) vi avrà parlato di T-score, ossia di quante deviazioni standard si discosta dalla media. Visto che sapere il T-score se non si è addetti ai lavori non dice molto, è bene sapere che ad ogni deviazione standard corrisponde circa il 10% di massa ossea. Nell’immagine è riportata la classificazione di osteopenia (perdita di minerali dall’osso) e osteoporosi (perdita patologica di minerali con rischio fratture) in base al T-score. Facendo i conti si intuisce al volo che se la nostra massa ossea si è rovinata a causa della sedentarietà, l’alimentazione non è stata adeguata e magari il picco di massa ossea non è stato ottimale, arrivare in zona osteoporosi (-25%) non è poi così difficile (come dimostrano peraltro le statistiche…).

Quanto sia importante l’attività fisica lo si vede ad esempio nello studio (22), dove si conferma che aumentando attività fisica e calcio introdotto le fratture in tarda età diminuiscono drasticamente: nella dieta tradizionale cinese l’apporto di calcio è basso ma è sempre stata alta l’attività fisica, che con la recente urbanizzazione è però calata molto. Questo ha smascherato il basso introito di calcio che era tamponato dall’attività, vedendo alla fine salire il tasso di fratture da osteoporosi.

CALCIO, MA NON SOLO. Il calcio è importante, ma anche altri minerali sono fondamentali per la crescita e il mantenimento dello scheletro, e non devono passare in secondo piano solo perchè di alcuni ne servono piccolissime quantità.

  • Fosforo. I cristalli di idrossiapatite che formano l’osso sono formati da fosfato di calcio. Il rapporto fra calcio e fosforo nelle ossa è di 2.5:1, mentre nel sangue è di 2:1. Già questo fa intuire come sia meglio avere una dieta con un rapporto calcio/fosforo favorevole al calcio. Non è tanto importante incaponirsi sui soli alimenti con questa caratteristica, ma che almeno il pasto nel complesso abbia questo rapporto più alto di 1:1. Il fosforo tende a competere con il calcio, e condivide anche parte dei meccanismi di assorbimento (dipende anch’esso dalla vit.D): se uno sale l’altro tende a scendere. Anche l’eliminazione renale del fosforo è modulata dal PTH, ma in maniera speculare. Entrambi però si aiutano a vicenda per la mineralizzazione dell’osso.
    Il fosforo si trova negli alimenti ricchi di proteine, e ne sono più ricchi cereali e legumi; seguono carne, uova, latticini. Ma il rapporto calcio/fosforo è molto sfavorevole nella carne (nell’ordine di 1:15), mediamente sfavorevole in uova, legumi e cereali (1:2), mentre è molto favorevole in latticini e verdure a foglia verde. Il fosforo degli alimenti animali è più assorbibile, nei vegetali è presente per lo più come acido fitico. Non dobbiamo comunque preoccuparci del fosforo: praticamente impossibile una sua carenza. Piuttosto che non sia troppo rispetto al calcio. Per girare a nostro favore il rapporto Ca/P della dieta, latticini e vegetali a foglia verde ricchi di calcio sono un valido aiuto, e nella scelta della fonte di proteine animali i latticini si dimostrano migliori della carne anche in questo caso.
  • Potassio. I risultati di molti studi (8) sembrano convergere sul fatto che il potassio sia molto legato alla salute delle ossa. Frutta, verdura e legumi ne sono ricchi, e sembra avere un ruolo decisivo per il loro effetto alcalinizzante, e dunque salva-calcio. Quando infatti si prendono in considerazione studi multi-varabile in cui sono esaminati insieme gli effetti di calcio e potassio, questo risulta più determinante ai fini della densità ossea: anche con abbondanza di calcio, se il potassio è scarso le ossa sono peggiori rispetto alle situazioni con poco calcio ma abbondante potassio. Questo perchè il potassio limita la perdita di calcio, fornendo la controprova che più importante di un grande introito di calcio sia limitarne le perdite. Nel latte materno il rapporto potassio-calcio è alto, probabilmente per favorire lo sviluppo osseo. Potassio aggiunto ad una dieta ricca di proteine riduce l’eliminazione urinaria di calcio e aumenta il livello di osteocalcina, che facilita il deposito nelle ossa. Come procurarci abbastanza potassio? Tranquilli, le classiche cinque porzioni di frutta e verdura consigliate dalle linee guida sono più che sufficienti a fornire tutto il potassio che ci serve, e dunque un’alimentazione naturale ne fornisce in abbondanza.
  • Magnesio. Due terzi dei 25 grammi di magnesio presenti nell’organismo sono immagazzinati nelle ossa. Se la dieta è carente di magnesio il calcio non viene assorbito bene, probabilmente perchè il magnesio interviene nella produzione del PTH, e una sua carenza ne squilibra la secrezione (18) con effetti a cascata sull’attivazione della vitamina D e dunque sull’assorbimento del calcio. Il magnesio si trova in quantità più che sufficienti in cereali integrali, semi oleosi, legumi.
  • Fluoro. In piccole quantità migliora la robustezza di ossa e denti. Viene assorbito quasi del tutto per diffusione passiva nell’intestino tenue, e va subito nelle ossa. Tuttavia, ha la caratteristica di non essere poi facilmente rilasciato, tendendo col tempo ad accumularsi. Un eccesso può provocare fluorosi e diventare tossico (18), oltre che rendere le ossa troppo rigide. Le fonti principali sono l’acqua potabile (ma dipende molto dal terreno da cui viene estratta), il pesce e i frutti di mare, ma con un’alimentazione equilibrata non si corrono rischi nè di carenza nè di eccesso.
  • Altri minerali utili per le ossa sono manganese, rame, zinco. Anche per questi, un’alimentazione naturale equilibrata ne fornisce a sufficienza.

VITAMINA D. Solo negli ultimi trent’anni gli studi sulla vitamina D hanno svelato la sua importanza per il nostro organismo. Il problema è che, contemporaneamente, lo stile di vita occidentale ha ulteriormente peggiorato, rispetto ai secoli passati, le abitudini di vita all’aria aperta e la conseguente produzione di vitamina D nella pelle. Non sono pochi gli studiosi che ritengono la carenza ormai endemica di questa vitamina come la concausa di molte patologie di massa, dall’osteoporosi ovviamente ma anche arrivando a patologie cardio-vascolari, diabete, cancro. Rimanendo all’argomento del post, una carenza di vitamina D fa sì che, anche assumendo grandi quantità di calcio, il suo utilizzo sarà mediocre (il meccanismo attivo non funziona e le ossa non accolgono il calcio in circolo), ed espone per di più agli effetti negativi di un eventuale iperdosaggio di calcio (vedi oltre). Il rimedio? La luce del sole. Per i nostri antenati preistorici non era un problema, visto che la vita all’aria aperta era d’obbligo. E’ diventato più un problema invece ai giorni nostri, in cui molti passano buona parte della giornata al chiuso (il lavoro, la vita cittadina, ecc.). Anche stare dietro una luminosissima vetrata serve a poco, in quanto i raggi UV-B vengono quasi interamente schermati. Occorre proprio stare all’aperto, e non serve che ci sia sempre il sole, basta la luce. Alle nostre latitudini, in estate, sono sufficienti 60 minuti al giorno con viso e braccia scoperte (anche meno se lo sono anche le gambe) per avere la vitamina D che ci serve e fare anche scorta per l’inverno. E’ questo il metodo più naturale per procurarcela, e fornisce anche la scusa per fare attività fisica all’aperto (ma basta anche una passeggiata). La via degli integratori infatti, come visto prima, è un terreno minato, e la supplementazione fai-da-te con alimenti fortificati o, peggio, pastiglie è come maneggiare una bomba a mano. Praticamente impossibile invece assumerne troppa con un’alimentazione naturale e l’esposizione anche abbondante al sole.

Con questi primi tre punti abbiamo definito le tre colonne portanti per la lotta all’osteoporosi: esercizio fisico, introito di minerali, vitamina D. Qualsiasi intervento che non le comprenda tutte e tre non sarà mai del tutto efficace. Ma c’è di più.

PROTEINE: in giusta quantità. A parte le cellule delle ossa (osteociti), circa la metà del volume dello scheletro è costituito da proteine. Gli stessi osteoblasti, le cellule preposte al deposito dei minerali nelle ossa, producono le proteine per il collagene che fa da base alla matrice ossea, ma anche altre proteine come l’osteocalcina e l’osteonectina, anch’esse utilizzate per costruire le ossa. Un corretto apporto di proteine è dunque necessario, ma per le ossa sono un’arma a doppio taglio: un eccesso alimentare di proteine è infatti una delle cause principali dell’osteoporosi. Eppure il corretto fabbisogno di proteine in una dieta è la cosa più facile da calcolare: 1 grammo per kg di peso corporeo al giorno (attenzione: per chi è sovrappeso la quantità va calcolata sul peso ideale). Le proteine che assumiamo con gli alimenti servono al ricambio di cellule e tessuti, comprese le ossa, e non devono quindi mancare mai. I guai arrivano quando la quota viene superata: in questo caso l’organismo è costretto a demolire le proteine in eccesso a scopo energetico, ma questo processo genera molte scorie, dall’ammoniaca (grande fatica per fegato e reni) a cospicue scorie acide, che per essere neutralizzate necessitano di un sistema tampone costruito utilizzando anche molto calcio. In caso di necessità i minerali necessari sono attinti dalle ossa. Più o meno per ogni grammo di proteine utilizzato a scopi energetici l’eliminazione di calcio aumenta di 1 mg, perdita legata anche ad un meccanismo di minore riassorbimento renale. Con un assorbimento medio dai cibi del 35%, si stima che per ogni grammo di proteine servano 3 mg di calcio dagli alimenti, dunque con 70 grammi di proteine in eccesso (bastano meno di un paio d’etti di carne oltre il necessario) è facile avere un fabbisogno aggiuntivo di circa 200 mg di calcio. Una situazione di questo tipo proseguita per anni può avere un effetto devastante sulle ossa.
Ma attenzione, perchè sembra (26) che neanche un maggiore apporto di calcio aiuti più di tanto a contrastare questa perdita urinaria (ipercalciuria): il meccanismo di minore riassorbimento renale tende a vanificare eventuali supplementazioni preventive e affatica ancora di più i reni.

Gli effetti negativi a lungo termine di una dieta iperproteica sulle ossa sono più che noti. In un celebre studio (10) sono stati confrontati due campioni di donne dai 50 agli 89 anni, onnivore le prime e lacto-ovo-vegetariane le seconde: con l’avanzare degli anni queste ultime avevano perso il 18% di massa ossea contro il 35% delle prime. Si stimò che questo non fosse dovuto nè al diverso apporto di calcio (più o meno simile nei due campioni) nè ad un diverso picco di massa ossea in gioventù (simile anch’esso) ma al corretto (e minore) introito di proteine delle lacto-ovo-vegetariane con conseguente minore perdita di calcio rispetto alle onnivore, alle quali risultava più facile eccedere nel consumo.

Attenzione: tutte le proteine, siano esse vegetali o animali, se demolite a scopo energetico generano scorie acide. Soprattutto quelle con aminoacidi solforati, è vero, ma anche molti vegetali ne sono ricchi (cereali). Non è vero dunque che le proteine vegetali siano meno acidificanti di quelle animali: sono i vegetali e essere meno acidificanti, poichè la differenza non la fa tanto il tipo di proteine ma gli alimenti che le contengono, e l’abuso. I vegetali sono alcalinizzanti poichè le loro proteine sono generalmente di meno e accompagnate da svariate e abbondanti sostanze alcalinizzanti, mentre la carne non ha questo profilo. Nell’assumere proteine animali e non dovendo eccedere visto il pericolo di acidosi, conviene eliminare le fonti proteiche poco o niente ricche di calcio come la carne e privilegiare quelle con un bilancio del calcio migliore, come i latticini. Se lo si fa con moderazione, è tutto guadagno. L’importante in ogni caso è non eccedere (con il totale delle proteine) la quota fisiologica di 1 grammo per kg di peso al giorno: tutto il resto aumenta lo spreco di calcio e mette in pericolo le ossa.

SODIO. Nell’organismo di un adulto ci sono circa 90 g di sodio, di cui il 40% nelle ossa come riserva, il resto sparso soprattutto nei liquidi extracellulari. E’ fondamentale per la concentrazione del sangue e dei fluidi extracellulari, per la trasmissione degli impulsi nervosi e la contrazione dei muscoli. Il sodio si trova in quasi tutti gli alimenti al naturale, acqua compresa (e quello che potremmo ricavare da essi ci basterebbe), ma al giorno d’oggi la quantità maggiore di sodio arriva dal sale da cucina, aggiunto (spesso esagerando) agli alimenti sia come conservante sia come miglioratore del sapore, e molti non si rendono conto di quanto ne mangiano in forma “occulta”. Come per tutte le sostanze indispensabili, anche l’eccesso di sodio è dannoso, e a parte vari altri effetti (in primis l’ipertensione), quello che qui ci interessa è che ogni grammo di sodio che mangiamo ci fa perdere con le urine 15-20 mg di calcio (19). Siccome il sodio costituisce il 40% del sale da cucina (il resto è cloro), facendo due conti si ricava che la dose giornaliera massima di sodio consigliata dalle linee guida (2.4 g) corrisponde a 6 g di sale da cucina (un cucchiaino). Un ragazzo occidentale che frequenta i fast food e consuma molti snack salati arriva tranquillamente a 15 g di sale al giorno, dunque 6 g di sodio che fanno perdere almeno 100 mg di calcio, e attenzione che è calcio “netto”, perchè per avere quei 100 mg di calcio ne dovrà ingerire almeno il triplo. Una bella perdita. Pensate a quanto calcio va sprecato associando una dieta ricca di sale ad una ricca di proteine… e pensate al disastro per le ossa se la dieta è anche povera di calcio.

Il fattore sodio va tenuto ben presente nei formaggi: in latte e yogurt ce n’è pochissimo, ma nei formaggi il sale viene aggiunto fin troppo agevolmente. Meglio dunque preferire quelli meno salati, perchè ci può essere tanta differenza. Pensiamo ad esempio al pecorino romano, che penso sia il formaggio più salato della Terra, confrontato con parmigiano ed emmental:

Contenuto in sodio (fonte: INRAN):

  • pecorino romano 1800 mg / 100 g
  • parmigiano 600 mg / 100 g
  • emmental 450 g / 100 g

dunque il pecorino contiene il triplo del sodio rispetto al parmigiano, e ben il quadruplo rispetto all’emmental! Con una porzione da 50 g di pecorino se ne vanno circa 20 mg di calcio, che vanno tolti dai 180 mg di calcio “netti” che assorbiamo dalla porzione. Insomma circa il 10% del calcio del pecorino va sprecato a causa del sale.

Se ci teniamo alle ossa, dunque, estrema attenzione al sale che usiamo o assumiamo “nascosto” negli alimenti.

BIODISPONIBILITA’ e ASSORBIMENTO. Sapere quanto sia biodisponibile il calcio di un certo alimento facilita il calcolo per arrivare almeno al minimo sindacale quotidiano. Ovviamente, giusto per facilitarci le cose, non è così semplice. Gli esami sperimentali per stabilire quanto calcio di una pietanza passi effettivamente in circolo, potenzialmente a disposizione delle ossa, sono complessi. E’ difficile sapere con precisione quanto sia l’assorbimento per uno specifico alimento svincolato dal resto della dieta, dallo stato fisico e ormonale, dall’età. Più facile fare la stessa cosa con gruppi più vasti di alimenti (o l’intera dieta) e su modelli animali. Molti modelli animali, però, sono stati assunti per buoni anche per gli uomini ma senza controprove certificate, dunque vanno presi con le pinze (14). Detto questo, pur se con risultati caratterizzati da una certa variabilità, molti meccanismi comuni sono chiari.

E’ troppo generico dire ad esempio che il calcio vegetale sia poco disponibile. E’ vero che alcune sostanze contenute nei vegetali ne frenano l’assorbimento, ma non tutte allo stesso modo. Il meccanismo è invece sempre lo stesso: queste sostanze si legano al calcio con legami forti, che i nostri enzimi digestivi non riescono a sciogliere. In ordine decrescente di influenza:

  • ossalati: sono quelli che frenano di più l’assorbimento; fortunatamente, fra i vegetali comunemente usati, quelli veramente ricchi di ossalati sono pochi (spinaci e biete in testa, gli altri seguono a diverse lunghezze o si mangiano raramente, dunque influiscono molto meno) e alla fine il calcio “rubato” sembra non superare quello contenuto nel vegetale stesso (attenzione: prima di espellere biete e spinaci dalla cucina leggetevi il paragrafo sulla vitamina K più sotto).
  • fitati: si pensava peggio; in realtà il calcio reso non disponibile dall’acido fitico, se la dieta è corretta, non è molto e comunque l’effetto è molto minore rispetto all’acido ossalico.
  • fibre: se la dieta è corretta non limitano molto l’assorbimento del calcio; una frazione solubile della fibra, gli acidi uronici, sono i maggiori responsabili. Gli acidi uronici sono presenti in maggiore percentuale nella fibra di frutta e verdura (circa 40% della loro fibra solubile), meno nei cereali (10% della fibra solubile), e si lega facilmente ai minerali. Ma l’effetto finale degli acidi uronici non è così grave, poichè circa l’80% viene degradato dai batteri del colon, rendendo il calcio e gli altri minerali nuovamente assorbibili (almeno in parte, per diffusione).

Sono stati messi a fuoco anche i meccanismi di assorbimento del calcio dai vari latticini, o dall’acqua e, come dicevamo, analizzando i risultati dei vari studi ci si rende conto che la percentuale di calcio assorbito dagli alimenti è soggetta a molte variabili, fra cui la composizione dei pasti (pensiamo al rapporto calcio/fosforo ad es.) e dell’intera dieta, l’età (nei bambini e ragazzi è maggiore, negli anziani minore), il carico di calcio, addirittura la stagione (sole -> vitamina D), e da ultimo pure il metodo usato per misurarla. Una sintesi per adulti sani e consumi nella norma è questa (14), (19), (23), (24):

  • latte, yogurt, formaggi: a seconda dei casi il calcio viene assorbito dal 30% al 50%
  • verdure a foglia ricche di ossalati (per lo più spinaci e biete): dal 5% al 10%
  • verdure e ortaggi povere di ossalati (crucifere come cavoli, verze, cavolfiori, cavoletti di bruxelles ecc. e anche cicoria, radicchio, rucola, ricchi di calcio): fino al 50-60%, ma in alcuni casi anche di più
  • legumi e semi oleosi (per via di fitati e fibre): circa il 15%
  • acqua con un buon residuo fisso (un alto residuo è infatti tutt’altro che negativo) dal 25% fino anche al 47%

Insomma il calcio presente nei latticini, nelle verdure povere di ossalati e nell’acqua è più o meno assorbibile allo stesso modo e risulta il più utile e biodisponibile, mentre gli altri alimenti lo cedono in quantità minore. La migliore combinazione di quantità/biodisponibilità negli alimenti ce l’hanno senza dubbio queste tre categorie.
Un discorso a parte va fatto poi per gli alimenti ricchi di calcio assorbibile ma che si consumano in risibili quantità per vari motivi, che vengono spesso decantati come “alternativa” ai latticini ma alla lunga poco utili, con buona pace dei paladini del calcio vegetale a tutti i costi: ci importa poco ad esempio del calcio del prezzemolo, che non possiamo consumare che a foglioline, o di quello dei semi di sesamo che per essere determinante dovrebbe essere mangiato a suon di tazze tutti i giorni con un carico di grassi e di calorie improponibile, o di quello dei pesciolini che si mangiano con la lisca (perchè lì sta il calcio…), che non si riescono obbiettivamente a mangiare tutti i giorni (e per lo più fritti). Alla fine l’apporto determinante di calcio lo danno gli alimenti ricchi di questo minerale, che hanno un’alta biodisponibilità e che si possono consumare in porzioni adeguate tutti i giorni, e dunque crucifere e altre verdure con pochi ossalati, latticini in quantità moderata, acqua ricca di calcio. Tirandoli per i capelli, anche alimenti “fortificati” possono essere un buon supporto, come latti vegetali con aggiunta di calcio ricavato dalle alghe o tofu prodotto con calcio, ma difficilmente diventano alimenti diffusi, quotidiani e di lungo periodo come i precedenti, e comunque l’alimentazione naturale storce sempre il naso di fronte a qualsiasi “integrazione”.

Avrete capito che, oltre alla biodisponibilità (cioè quanto calcio un alimento può effettivamente rilasciare) è importante quanto riusciamo ad assorbirne. Questo aspetto è influenzato da diversi fattori, come la disponibilità di vitamina D che aumenta l’assorbimento intestinale, ma anche dalla dose. Il meccanismo di assorbimento saturabile tende infatti ad assorbire sempre meno calcio mammano che la quantità presente nell’intestino tenue aumenta, e anche quello non saturabile più di tanto nello stesso momento non ne fa passare attraverso le pareti intestinali: è stato osservato che a dosi piccole l’assorbimento è molto più efficiente, mentre a dosi elevate una parte del calcio passa oltre e viene “sprecata”. Anche la durata nel tempo di dosi più o meno elevate di calcio regola l’assorbimento: lunghi periodi a basse dosi aumentano la percentuale assorbita, lunghi periodi ad alte dosi tendono a diminuirla. La percentuale di assorbimento può variare da meno del 30% per alte dosi a più del 60% per i bassi dosaggi, e la quota di soglia sembrerebbe essere di circa 500 mg per pasto. Diverse fonti (15)(16) consigliano dunque di dividere il totale del calcio giornaliero in dosi minori di 500 mg per non sprecare il calcio ingerito. Bocciate in pieno le mega-assunzioni da 1000 mg per volta: sono inutili e affaticano i reni (non solo le pillolone, anche mangiarsi 80 g di parmigiano o un piatto di formaggi in una sola volta).

Qui sotto troverete una tabella (cliccare per ingrandire) che, tenendo conto di consumi normali (niente mega dosi) sintetizza le percentuali di biodisponibilità e assorbimento per diverse tipologie di alimenti, e per ognuno calcola la quantità di alimento necessaria per assorbire 100 mg “netti” di calcio, cioè effettivamente in circolo e disponibili per le ossa, e le calorie per queste quantità, consentendo di saggiare la praticabilità di usare certi alimenti come fonte conveniente di calcio.

Le percentuali di assorbimento riportate in terza colonna (“assorbimento %“) sono attendibili all’interno dell’intervallo che vedete: come abbiamo visto variano a seconda di vari fattori, e sono una sintesi delle varie fonti consultate (partendo da (14), (19), (23), (24)).
Dalla tabella si ricava che variando giornalmente fra tre “fonti” di diverso tipo si possono agevolmente assorbire i 300 mg “effettivi” di cui abbiamo bisogno e anche superarli. Ad esempio con un bicchiere di latte + un litro di acqua ad alto residuo + una porzione di crucifere superiamo abbondantemente la richiesta. La colonna delle calorie necessarie per assumere 100 mg di calcio effettivo serve anche ad evidenziare come non tutte le soluzioni “alternative” all’avere un (piccolo) aiuto dai latticini siano facilmente percorribili. Il sesamo, che nel campo dell’alternativo va per la maggiore, se usato decorticato (il calcio è soprattutto nella buccia) apporta un numero spropositato di calorie, ma anche nella versione integrale apporta il doppio delle calorie rispetto ai latticini, a parità di calcio assorbito.
Prezzemolo, salvia, rosmarino sono stati riportati come ulteriore esempio illusorio: in quest’ottica andrebbero consumati a mazzi, tutti i giorni… sicuri che sia una via percorribile, visto che l’uso normale è a pizzichi?

VITAMINA K. Nonostante molti la conoscano più per la sua importanza nella coagulazione del sangue, questa vitamina è fondamentale anche per la salute delle ossa. Vedremo subito perchè, ma per farlo riprendiamo la questione di spinaci e biete ricchi di ossalati e dunque apparentemente poco amici dell’assorbimento del calcio, perchè ora diventa interessante. Come dicevamo, ad una prima reazione si sarebbe tentati di bandire dalla dieta questo tipo di verdure, ma sarebbe una leggerezza che non tiene conto delle famose sinergie che stanno sotto l’apparente semplicità dei cibi. Dovete infatti sapere che proprio gli spinaci sono ricchissimi di vitamina K: una tazza di spinaci bolliti fornisce circa dieci volte la quantità giornaliera di vitamina K necessaria, più esattamente di vitamina K1, quella di origine vegetale (c’è poi la K2, di origine batterica). Anche se ne assumiamo così tanta non va sprecata, perchè essendo liposolubile tende ad accumularsi nel tessuto adiposo, dove rimane per diverso tempo come riserva. La vitamina K1 frena l’attività degli osteoclasti, le cellule che smobilitano il calcio dalle ossa, e di conseguenza facilita l’attività degli osteoblasti, quelle che lo depositano. Ma c’è di più: il microbiota intestinale trasforma (e se ce n’è molta -come nel caso degli spinaci- questo avviene più facilmente) la vitamina K1 nella vitamina K2 (appunto quella di origine batterica), che stimola la produzione di osteocalcina, la proteina che “incolla” il calcio sulla matrice ossea. Senza la vitamina K questa catena virtuosa avverrebbe con molti intoppi o non avverrebbe per nulla. Ecco perchè la vitamina K viene elencata sempre più spesso fra le sostanze amiche delle ossa. Ovviamente non è presente solo negli spinaci, ma l’esempio era interessante per capire quanto sia importante conoscere profondamente le cose prima di stilare le liste dei cibi buoni e di quelli cattivi. La vitamina K si trova abbondantemente anche in tutte le altre verdure a foglia verde, come biete, lattuga, crucifere, ecc., dunque un’alimentazione equilibrata e ricca di verdure non ce ne fa mancare di certo, com’era prevedibile.

LATTICINI. Mettiamo subito le cose in chiaro: sono indispensabili? No. Sono utili? Sì, sono molti utili perchè ci consentono di raggiungere i livelli di calcio necessari senza passare la giornata a ruminare foglie. E’ infatti vero che il calcio può essere assunto dai vegetali come facevano i nostri antenati che saltavano sugli alberi, ma come abbiamo visto, quanti ne servono? Una mucca può produrre ogni giorno molti litri di latte contenenti decine di grammi di calcio mangiando solo erba, ma passa la giornata a mangiare e digerire. Sicuri che potremmo farlo anche noi? L’allevamento è stato, con la coltivazione “intensiva” dei cereali, una spinta fortissima allo sviluppo della civiltà anche perchè aiutava ad impiegare meno tempo nell’accaparramento del cibo, e lasciava più tempo per pensare, oltre ad integrare efficacemente la dieta dopo la rivoluzione dell’agricoltura di 12000 anni fa. Gli Egizi e i Romani tentarono di allevare e mungere praticamente qualsiasi mammifero (come già detto, a Roma perfino le cagne), poi la rosa si restrinse per praticità e mansuetudine agli attuali bovini, capre e pecore, ma la raccolta e trasformazione del latte è tatuata, che lo si voglia o no, sulla pelle degli uomini che si sono evoluti in civiltà, soprattutto perchè, nelle loro diete, funzionava. L’evoluzione non tollera pratiche inutili o dannose, ed ecco perchè l’uso dei latticini è arrivato fino a noi. L’errore che si commette al giorno d’oggi è probabilmente il loro abuso, che sicuramente non va bene, mentre nel corso di questi millenni il loro utilizzo è stato sì continuo, ma moderato, come moderata e stata l’alimentazione in generale.

Chi non ha abbandonato questa filippica dopo la terza riga sappia che fra poco parleremo appunto di dosi, ma prima mettiamo sotto i riflettori quello che è probabilmente il vero responsabile dell’avversione che alcuni hanno verso i latticini: il lattosio. Distinguiamo subito fra l’allergia alle proteine del latte (peraltro piuttosto rara) e l’intolleranza al lattosio. Chi è “allergico al latte” deve tenere ben lontano da sè qualsiasi cosa contenga le proteine del latte (con le crisi e gli shock anafilattici non si scherza), ma gli “intolleranti” lo sono perchè il loro intestino, dopo i primi due-tre anni di età, ha smesso di produrre l’enzima (lattasi) che scinde il lattosio (maggioritario nel latte) nei due zuccheri semplici glucosio e galattosio. Se il lattosio rimane intero, lungo l’intestino fermenta ad opera dei batteri dell’ileo distale e del colon con produzione di gas, diarrea e dolore addominale, in maniera proporzionale alla quantità ingerita. Glucosio e galattosio separati, invece, non danno problemi. In parte della popolazione, invece, l’enzima lattasi non “esce di produzione” dopo il terzo anno di vita, ma viene prodotto per sempre. Come abbiamo visto è un adattamento legato all’adozione della pastorizia di circa 12000 anni fa, e infatti il fenomeno, noto come persistenza della lattasi, è più diffuso nelle etnie nelle quali l’allevamento e l’uso del latte sono stati più determinanti. Interessante notare che fino a qualche anno fa chi non proseguiva nella produzione della lattasi veniva definito affetto da “deficienza della lattasi”, mentre oggi, non essendo giustamente più considerata una mancanza, sono gli altri a essere definiti “lattasi-persistenti”. Alcune percentuali sulla persistenza della lattasi:

  • nordeuropei 85%
  • area del mediterraneo 60-70% (italiani compresi)
  • centro america 45-50%
  • africani 30%
  • indios nativi americani 30%
  • asiatici 10%

Da notare che la persistenza o meno della lattasi ha importanza più che altro per il consumo di latte, mentre nel resto dei latticini, dallo yogurt ai formaggi, la quantità di lattosio risulta drasticamente ridotta. Nel caso dello yogurt i fermenti lo digeriscono ricavandone acido lattico, e gli stessi batteri producono la lattasi che scinde anche gran parte di quello rimasto. Per i formaggi, il processo di cagliatura e stagionatura degrada il lattosio, che raggiunge il livello di tracce. Una quantità piccolissima di lattosio rimane sempre, ma così bassa da non generare fastidio negli intolleranti, che infatti di solito riescono a mangiare formaggi e yogurt senza problemi. Se non viene costantemente tenuta “attiva” con il consumo, la produzione di lattasi tende ad addormentarsi negli anni (se non serve, l’organismo non spreca risorse), dunque dopo un lungo periodo di mancata assunzione di latte un’eventuale ripresa dovrebbe essere graduale. La persistenza della lattasi comunque, facendo parte del patrimonio genetico, non si perde.

Riguardo le quantità, partiamo analizzando le condivisibili linee guida dell’INRAN: nell’ambito di un’alimentazione equilibrata consigliano (per gli adulti) 2-3 porzioni da 125 ml di latte/yogurt al giorno e, un giorno sì e uno no, una porzione da 100 gr di formaggio se fresco (mozzarella, crescenza, ecc.) o 50 se stagionato (emmental, caciotte, pecorini, parmigiano, …). Dunque in media 50 g se fresco e 25 g se stagionato al giorno. Consideriamo che i formaggi non sono altro che latte “condensato” per poter essere conservato più a lungo (l’inizio della loro produzione risale a millenni fa: era l’unico modo per conservarlo), e che la proporzione fra calcio, grassi e proteine si conserva durante questo processo di concentrazione (scende solo la quantità d’acqua e il peso finale del prodotto), dunque il tutto equivale a circa 600-700 ml di latte al giorno, con il quale si arrivano ad assumere circa 800 mg di calcio, guarda a caso il fabbisogno consigliato (attenzione: per i ragazzi e le donne post-menopausa le dosi consigliate sono ovviamente maggiori). Personalmente rimango un po’ più basso perchè conto di assumere calcio anche dal resto dell’alimentazione (quello vegetale, dunque, e dall’acqua) e dopo anni mi sono abituato a queste dosi: 700 ml di latte fresco intero a settimana (ne trovo ad esempio uno ottimo al Naturasì, pastorizzato e non omogeneizzato), che fanno circa 100 ml al giorno (ci sono giorni in cui ne prendo una tazza e magari salto i due successivi…) e poi durante il giorno uno yogurt (da 150 g) e a pranzo o a cena un cubetto di formaggio da 25-30 g se stagionato (per dare un’idea, delle dimensioni di quei panetti di lievito di birra da 25 g che si trovano nei negozi) o un po’ di più se freschi (una mozzarella ad esempio). Sulla pasta poi abbondo con il grana (un cucchiaio sono circa 10 g, non sembra ma apportano ben 110 mg di calcio), 2-3 volte la settimana. Dunque ogni giorno in media:

  • 100 ml di latte intero fresco (mezzo bicchiere, 120 mg di calcio)
  • 125-150 g di yogurt intero (un vasetto, 150-180 mg di calcio)
  • 25-30 g di formaggio se stagionato (con meno sale possibile) o 50 se fresco (300 mg di calcio)

per un totale di circa 600 mg di calcio da latticini, equivalenti a mezzo litro di latte, al giorno. Niente consumi smodati, dunque, ma una buona base per raggiungere la quota giornaliera di calcio consigliata. Poi c’è il calcio dalle verdure (a foglia e non, crucifere e non), dai legumi, dai semi oleosi, dall’acqua, ecc. “Senza saperlo” negli anni mi sono allineato più o meno alle linee guida…

Riguardo latte e latticini punto molto sulla qualità. Preferisco latte bio, anche se costa un po’ di più (poco di più in verità…) e per i formaggi, anche come gusto, prediligo quello di pecora e capra, ma vado matto per l’emmental (ci sono emmental bio tirolesi eccellenti) e il grana, ma sono gusti. La qualità dell’allevamento sembra comunque essere importante per la qualità finale del latte. Il latte biologico o biodinamico si avvicina di più al latte “antico” che il nostro sistema digerente conosce da circa 12000 anni. Sono anche stati fatti studi sull’impatto di tale migliore qualità sulla salute (a chi interessa, cercare Ton Baars – Univ. tedesca di Kassel -, uno dei massimi esperti in questo campo) ma sono ancora all’inizio. Il fatto comunque che i mangimi siano più di qualità, l’ambiente dove vivono sia più sano e naturale e soprattutto che le mucche in allevamento biologico o biodinamico forniscano circa 20 litri di latte al giorno contro i 40-50 del convenzionale fa comprendere le differenze che possono esserci. L’importante è non abusare nella quantità. L’equivalente in latticini di quei 500 ml di latte al giorno apportano più o meno 300 kcal, 16 g di proteine, 18 g di grassi (di cui saturi solo una decina), valori perfettamente incastrabili in una dieta bilanciata ricca di verdura e frutta e povera di carne. E’ sbagliato infatti fare confronti fra il latte (quasi tutta acqua) e i formaggi scandalizzandosi della quota di calorie e grassi: 100 g di latte e 100 g di formaggio sono due cose molto lontane fra di loro. I formaggi freschi concentrano il latte di circa 5 volte, quelli stagionati di 10 e più, dunque meglio ragionare in temini di latte-equivalente. Facile eccedere con i formaggi, molto meno con il latte. Va tenuto presente anche il parametro sale. Nei formaggi stagionati la concentrazione di sale aumenta parecchio, e come abbiamo visto va conteggiato il calcio che si perde a causa sua.

Insomma nella nostra zona mediterranea i latticini sono una buona base per assicurare un giusto apporto di calcio, checchè ne dicano i detrattori. Una delle tante review degli studi sui latticini e la salute delle ossa (8) riporta che gli unici studi solidi che davano effetti negativi (il 5% di quelli considerati) erano relativi alle fratture in tarda età e non avevano subìto aggiustamenti relativi al resto della dieta, ai livelli di vitamina D o all’attività fisica. Altre conclusioni interessanti che si ricavano da questa e da altre review sono che i latticini (il latte soprattutto) esercitano la loro massima influenza sulla salute delle ossa se consumati regolarmente da giovani (prima del picco di massa ossea): così facendo, in tarda età ci si ritrova con circa il 5-6% di massa ossea in più (sintesi di varie fonti).

CALCIO: POSSO ESAGERARE? No, ci sono due limiti da non superare: il primo è (per gli adulti) quello di 2500 mg di calcio al giorno (3000 per gli adolescenti): se si supera questa dose diversi rischi aumentano: i calcoli ai reni (per lo più se si beve poco), la calcificazione dei tessuti molli (fra cui, si teme, anche le arterie) e diversi tipi di cancro, fra cui quello alla prostata (il cui rischio sembra epidemiologicamente aumentare -di circa il 6%- dai 1500 mg in su: è il cavallo di battaglia degli anti-latticini, ma c’entra solo il calcio). Il secondo limite, ma molto più soft, è quello di evitare assunzioni superiori ai 500 mg in una sola volta, ma questo soprattutto per non sprecare parte del calcio ingerito, come abbiamo già visto.

Bisogna ammettere che 2500 mg sono difficili da raggiungere con un’alimentazione normale, ma può succedere facilmente con integrazioni prese alla leggera o alimenti fortificati. Riguardo i maschietti e il rischio-prostata: tranquilli, perchè il legame non è così diretto, in quanto sembra coinvolta anche la vitamina D, o meglio la sua mancanza. Il rischio deriverebbe da una concomitanza di eccesso di calcio (da qualunque fonte, alimentare o supplementi) e carenza di vitamina D, che si intrecciano dunque con sovralimentazione (con sovrappeso) e sedentarietà (con minore esposizione al sole), tutti fattori epidemiologicamente predisponenti e non si sa se e quanto scindibili l’uno dall’altro, di cui l’eccesso di calcio sembra essere solo uno dei tasselli.

Riguardo le mega dosi è noto il caso dei Masai, popolazione dedita alla pastorizia con introiti di calcio che raggiungono i 5000 mg al giorno, grazie anche al latte consumato in quantità, e che non ne ricavano alcun problema, ma con una grossa differenza rispetto allo stile di vita occidentale: l’attività fisica è imponente e l’irraggiamento solare pure. La loro è una situazione ideale, dunque non esageriamo con super-dosi di calcio, a meno che non abbiamo uno stile di vita come il loro! Come abbiamo capito fin qui, non sono importanti i singoli particolari ma il contesto generale, e in più è meglio preoccuparsi di non perderne troppo, piuttosto che assumerne tanto.

CONCLUSIONI. Lo scopo di questo lungo post era di far capire quale intreccio di variabili ci sia dietro la questione, solo apparentemente semplice, della salute delle nostre ossa, e anche di non far più sembrare misteriose le motivazioni dei vari “decaloghi” che vengono proposti per prevenire l’osteoporosi:

  • attività fisica
  • esposizione al sole e vita all’aria aperta
  • latticini in quantità moderata
  • verdure abbondanti, soprattutto a foglia verde
  • poca carne e attenzione alle diete iperproteiche
  • attenzione al troppo sale
  • acqua con un buon residuo fisso

Dunque da bambini e da ragazzi non dobbiamo farci mancare attività fisica, calcio, sole e aria aperta, da adulti dobbiamo assumere almeno le dosi consigliate di calcio e per renderle utili dobbiamo stare attenti a non perderne troppo con comportamenti sbagliati. Se abbiamo raggiunto da giovani un buon picco di massa ossea, eventuali piccole “mancanze” successive possono essere recuperate con uno stile di vita che porti ad un bilancio giornaliero del calcio positivo (le entrate sono maggiori delle uscite) così da tornare ad immagazzinare minerali nelle ossa. Il picco di massa ossea può essere recuperato e mantenuto.

Anche in questo caso uno stile di vita sano che comprenda una sana e varia alimentazione naturale di tipo mediterraneo (stile di vita che noi definiamo macrobiotica mediterranea) si dimostra un modello salutare, anche per costruire e mantenere in salute le nostre ossa per tutta la vita.

Riferimenti e altre fonti da cui partire, per chi vuole approfondire:

(1) L’affermazione “Senile osteoporosis is a pediatric disease” di Charles E. Dent (all’epoca professore all’University College di Londra) si ritrova per la prima volta in:
Keynote Address: Problems in Metabolic Bone Disease.
Proceedings of the International Symposium on Clinical Aspects of Metabolic Bone Disease. 1973;1-7.

(2) “Calcium and Milk: What’s Best for Your Bones and Health?”
Harvard School of Public Health

(3) Elena Segal, Lubov Dvorkin e altri
“Bone Density in Axial and Appendicular Skeleton in Patients with Lactose Intolerance: Influence of Calcium Intake and Vitamin D Status”
Journal of the American College of Nutrition, 2003

(4) Sean Murphy, Kay-Tee Khaw, Helen May, Juliet E. Compston
“Milk consumption and bone mineral density in middle aged and elderly women”
British Medical Journal, Volume 308, Aprile 1994

(5) Heidi J. Kalkwarf, Jane C. Khoury, and Bruce P. Lanphear
“Milk intake during childhood and adolescence, adult bone density, and osteoporotic fractures in US women”
American Journal of Clinical Nutrition, 2003

(6) Katherine L Tucker
“Does milk intake in childhood protect against later osteoporosis?”
American Journal of Clinical Nutrition, 2003, editoriale legato all’articolo (5)

(7) Ruth E. Black, Sheila M. Williams, Ianthe E. Jones, and Ailsa Goulding
“Children who avoid drinking cow milk have low dietary calcium intakes and poor bone health”
American Journal of Clinical Nutrition, 2002

(8) Roland Weinsier, Carlos Krumdieck
“Dairy foods and bone health: examination of the evidence” – A Rewiev
American Journal Of Clinical Nutrition, 2000; 72:681-9.

(9) Wayne W. Campbell, Minghua Tang
“Protein Intake, Weight Loss, and Bone Mineral Density in Postmenopausal Women”
The Journals of Gerontology, Series A: Medical Sciences, luglio 2010

(10) Marsh A.G., Sanchez T.V. e altri
“Cortical bone density of adult lacto-ovo-vegetarian and omnivorous women”
American Journal of Dietetic Association, 1980: 76: 148-151.

(11) International Osteoporosis Foundation
“The Asian Audit: Epidemiology, costs and burden of osteoporosis in Asia 2009”
www.iofbonehealth.org

(12) Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO) & University of Sheffield Medical School
“Assessment of Osteoporosis at the primary health care level”, 2007

(13) Lega Italiana Osteoporosi – www.lios.it

(14) Connie M. Weaver, Karen L. Plawecki
“Dietary calcium: adequacy of a vegetarian diet”
American Journal of Clinical Nutrition, 1994;59(S):1238-1241

(15) Robert P. Heaney, Connie M. Weaver, Mary Lee Fitzsimmons
“Influence of calcium load on absorption fraction”
Journal of Bone and Mineral Research, 1990, Vol.5, pag.1135-1138.

(16) Committee to Review Dietary Reference Intakes for Vitamin D and Calcium, Food and Nutrition Board, Institute of Medicine.
“Dietary Reference Intakes for Calcium and Vitamin D” Washington, DC: National Academy Press, 2010.

(17) M. Maggio, G.P. Ceda
Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Università di Parma
“Il dilemma dell’IGF-1”
Giornale di Gerontologia 2011;59:110-119

(18) Jasminka Z. Ilich, Jane E. Kerstetter, University of Connecticut
“Nutrition in Bone Health Revisited: A Story Beyond Calcium”
Journal of the American College of Nutrition, 2000, Vol. 19, No. 6, 715-737

(19) Léon Guéguen, Alain Pointillart
Laboratoire de Nutrition et Sécurité Alimentaire, INRA, Francia
“The Bioavailability of Dietary Calcium”
Journal of the American College of Nutrition, 2000, Vol. 19, No. 2, 119S-136S

(20) Annemieke M. Boot, Maria A.J. de Ridder, e altri
“Bone Mineral Density in Children and Adolescents: Relation to Puberty, Calcium Intake, and Physical Activity”
Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, 1997, 82: 57-62

(21) Robert P. Heaney
“Calcium, Dairy Products and Osteoporosis”
Journal of the American College of Nutrition, 2000, Vol. 19, No. 2, 83S-99S

(22) E. Lau, S. Donnan, D.J.P. Barker, C. Cooper
“Physical activity and calcium intake in fracture of the proximal femur in Hong Kong”
British Medical Journal, dicembre 1988

(23) Lucia Baciottini, Annalisa Tanini e altri
“Calcium bioavailability from a calcium-rich mineral water, with some observations on method”
Journal of Clinical Gastroenterology, Ottobre 2004 – Volume 38 – Issue 9 – pp 761-766

(24) Robert. P. Heaney, M.S. Dowell
“Absorbability of the calcium in a high-calcium mineral water”
Osteoporosis International, 1994, Volume 4, Number 6, pp 323-324

(25) Robert P. Heaney, Connie M. Weaver
“Newer perspectives on calcium nutrition and bone quality”
Journal of the American College of Nutrition, 2005, Vol. 24, No. 6, 574S-581S

(26) Lindsay H. Allen
“Calcium bioavailability and absorption: a review”
American Journal of Clinical Nutrition 35: aprile 1982, pp. 783-808

(27) V. Matkovic, K. Kostial e altri
“Bone status and fracture rates in two regions of Yugoslavia”
American Journal of Clinical Nutrition l979; 92:953-963.

(28) Merja Kärkkäinen, Christel Lamberg-Allardt e altri
“Does it make a difference how and when you take your calcium? The acute effects of calcium on calcium and bone metabolism”
American Journal of Clinical Nutrition, 2001; 74:335-342

(29) – López-González AA, Grases F, Roca P, Mari B, Vicente-Herrero MT, Costa-Bauzá A.
“Phytate (myo-inositol hexaphosphate) and risk factors for osteoporosis.”
Journal of Medicinal Food, dicembre 2008.

(30) – S. Abbott, E. Trinkaus, DB Burr
“Dynamic bone remodeling in later Pleistocene fossil hominids”
American Journal of Physical Anthropology 99:585–601, 1996.

 (31) – Holmes, Pollack, Willett, e altri
“Dietary correlates of plasma insulin-like growth factor 1 and insulin-like growth factor binding protein 3 concentrations”
Cancer Epidemiology Biomarkers and Prevention, numero 11/2002, pag. 852-861

(32) – T. Norat, L. Dossus, S. Rinaldi, e altri
“Diet, serum insulinlike growth factor-I and IGF-binding protein-3 in European women”
European Journal of Clinical Nutrition, 2007/61, pag. 91-98.

(33) – J. Ma, E. Giovannucci, M. Pollak, e altri
“Milk intake, circulating levels of insulin-like growth factor-I, and risk of colorectal cancer in men”
Journal of the National Cancer Institute, settembre 2001;93(17):1330-1336.


Risposte

  1. Commento articolo su “Macrobiotica mediterranea”

    Vedo che il mito del latte è duro a morire, probabilmente a causa della dipendenza psicologica che questo alimento produce in chi lo consuma da una vita.
    Succede così che, una volta innamorati di una idea o abitudine, si finisca col vedere sempre quel che si vuole vedere.
    Nell’ articolo che mi accingo a commentare, infatti, pieno di inesattezze, non si è fatto luce abbastanza sulle vere cause dell’ osteoporosi (che non sono certo da attribuire ad una carenza di latticini, visto il consumo che se ne fa), e cioè il devastante effetto di zucchero, cibi raffinati ed alcolici, di cui non è stato detto, nonostante non sia meno rilevante delle altre cause accennate, e si negano sfacciatamente i molti effetti negativi dei latticini, ormai sempre più scientificamente documentati, e di cui ufficialmente ci si guarda bene dal parlare.
    Per esempio il nesso tra questi alimenti e le malattie cardiovascolari (grassi saturi, colesterolo, calcio in eccesso e omocisteina), come pure i tumori.
    I fattori di crescita insulinosimili(IGF-1), contrariamente a quanto affermato nell’ articolo, sono sicuramente contenuti nel latte, per l’ ovvio motivo che servono alla crescita dell’ animale cui quest’ alimento è naturalmente destinato, e tutti i più qualificati oncologi ritengono che possano favorire il cancro (anche se i fattori in gioco sono sicuramente tanti, ma questo vale sempre).
    Se l’ autore del post non è d’ accordo su questo, dirò a Franco Berrino (devo precisare di chi sto parlando?) di andare a ripetizione da lui per farsi “aggiornare”.
    Quanto alla “divertente” leggenda della responsabilità dei latticini nella produzione di muco, c’è poco da ironizzare, perché sono moltissime le persone che testimoniano di essersi liberate di disturbi di cui soffrivano da anni, una volta eliminati latte e derivati. E se questo non dovesse bastare, c’è una teoria scientifica che individua nel galattosio (contenuto praticamente solo nel latte, nella molecola del lattosio) il precursore delle mucoproteine.
    Ma tornando all’ osteoporosi, nessuno sostiene che i latticini ne siano “la causa”, ma se questi hanno un effetto, non è certamente quello che si pensa, in quanto, piuttosto che fornirci una protezione, essi favoriscono la perdita di minerali, a causa dell’ elevato contenuto proteico (nel latte vaccino il triplo rispetto a quello presente nel latte umano), che, come si sa, è una delle principali cause di acidità nel sangue e conseguente deplezione di calcio dai depositi ossei. Se poi consideriamo molti formaggi ricchi di polifosfati, ogni possibile dubbio sul loro reale effetto svanisce.
    Faccio notare poi, a tal proposito, che i valori comunemente indicati relativi al fabbisogno giornaliero di calcio sono spropositati, per il semplice motivo che essi sono calcolati sulla base del modello dietetico comune(squilibratissimo): è logico che se sono presenti zucchero, cereali raffinati e proteine animali in eccesso (queste sì più acidificanti di quelle vegetali, a causa della maggiore presenza di aminoacidi solforati, e non quelle dei cereali, come si afferma nell’ articolo), ci vorrà una maggiore quantità di sostanze tamponanti per bilanciarne l’ effetto. Tanto è vero che le RDA (fabbisogno minimo giornaliero) diramate dalle autorità statunitensi (com’è risaputo, la dieta americana è la più acidificante) sono notevolmente superiori a quelle dell’ OMS.
    Del resto come si spiega che popolazioni povere africane con bassa assunzione di calcio, e che in tutta la vita non toccano mai latticini, abbiano ossa in condizioni migliori delle popolazioni più ricche, che consumano anche molti latticini?
    C’è infine un’ altra cosa che mi preme evidenziare: nell’ articolo si precisa (giustamente) che, per poter essere utilizzato in modo ottimale, il calcio deve essere assunto in un rapporto rispetto al fosforo di 2-2,5. Poi però conclude (erroneamente) che nei latticini tale rapporto è rispettato.
    A me risulta invece, da più fonti assolutamente affidabili, che nel latte vaccino il rapporto Ca/P è intorno ad 1, o poco più. Il che significa che c’è relativamente troppo fosforo, il quale tenderà a combinarsi col calcio nel tubo digerente e a venir così espulso.
    Io penso che l’ autore dell’ articolo ci avrebbe pensato due volte prima di scrivere l’ ennesima arringa in difesa del più sopravvalutato degli alimenti, se sapesse come Walter Willett, uno dei più autorevoli scienziati nutrizionisti al mondo, ha commentato la raccomandazione dell’ente governativo americano USDA di includere il latte tra gli alimenti di consumo quotidiano.
    “Assolutamente ridicola”è stata la sua risposta, facendo capire che lo schema piramidale, che dovrebbe esemplificare visivamente la composizione della dieta ideale consigliata, non riflette necessariamente quello che si sa dalla semplice scienza più aggiornata, essendo facilmente oggetto di opportuni “aggiustamenti” da parte di chi ha interessi e potere.
    E Walter Willet non è il solo a pensarla così: ci sono anche Colin T. Campbell, l’ eminente scienziato ormai strafamoso per il suo “The China Study”, lo studio più vasto ed approfondito sulla nutrizione mai compiuto al mondo, Mark Hyman, uno dei medici più intelligenti e all’ avanguardia, molto famoso negli Stati Uniti nel campo della medicina naturale, David Ludwig, ricercatore e professore al Dipartimento della Nutrizione dell’ Harvard School, ed altri meno noti.
    Consiglio pertanto vivamente a chi ha scritto l’ articolo di leggere il post che ho dedicato all’ argomento (su
    ): “6 ragioni per evitare i latticini secondo il dr. Mark Hyman”.
    Per tagliare la testa al toro, vorrei fare due ultime considerazioni:
    – Se non c’è nessun animale, tra le molte migliaia di specie, che si nutre di latte a vita, NON C’E’MOTIVO PLAUSIBILE AL MONDO PER PENSARE CHE PROPRIO NOI UMANI DOVREMMO AVERNE BISOGNO.
    Affermare che questo argomento è irrilevante è una forzatura che fa a pugni con la più elementare logica, un vero insulto all’ intelligenza e al buonsenso.
    – Ormai chi ha più la possibilità di avere il latte genuino della fattoria? Praticamente tutti i prodotti caseari che si consumano sono industriali, perciò si devono fare i conti con tutti i veleni che derivano dall’ allevamento del bestiame (ormoni, antibiotici, pesticidi…), nonché coi processi industriali (pastorizzazione, omogeneizzazione, sterilizzazione) che alterano profondamente le proprietà originarie dell’ alimento.
    Perciò, a prescindere da tutto quanto ho appena detto, questo è già un motivo di per sè sufficiente a fare dei latticini dei prodotti fra i più sconsigliabili.

    Michele Nardella

    • Michele,
      grazie dell’intervento. Ho pensato di lasciarlo integro senza eliminare le parti diciamo “meno gentili” anche se non capirò mai questo odio cieco nei confronti dei latticini che oggi va tanto di moda. Ma tant’è, qualche anno fa c’era l’odio verso i grassi saturi e il colesterolo, poi quello verso i carboidrati, sempre campagne “anti” e mai “pro” o “perchè” qualcosa. Ma si sa, essere “anti” è, per l’appunto, molto più di moda. Più utile sarebbe dire che sbagliati sono gli eccessi, ma per fare questo occorre spiegare perchè, far capire i meccanismi, e questo necessita di approfondimenti, di fatica e di studio. Questi, purtroppo, non vanno di moda. Pensi veramente che ci si potrebbe avventurare in un post del genere senza conoscere le posizioni di Berrino (che ho sempre ammirato), di Campbell padre e figlio, di Hyman? Il fatto è che a me piace approfondire, e se si vanno a cercare le fonti e si studiano si scopre che ci sono quasi sempre interpretazioni o forzature che non sempre sono convincenti.

      Se leggi bene il post ti rendi conto che non è un post pro-latticini (infatti ne parlo alla fine) ma fornisce una serie di elementi per informarsi, e tra questi il fatto che fra i tanti adattamenti antropologici e biologici che hanno portato l’uomo dalle caverne ai computer c’è stato anche un consumo moderato di latticini, per svariati motivi. Inoltre il latte è forse l’unico cibo che la natura ha veramente elaborato come vero e proprio alimento, al contrario degli altri cibi (compresi i vegetali) ai quali l’uomo si è adattato a suon di avvelenamenti, morti premature e mal di pancia.

      Comunque, potremmo discuterne per ore, rispondo ai tuoi spunti:

      – Nel post NON c’è scritto che l’osteoporosi è causata da una carenza di latticini, ci mancherebbe: qui sei tu che leggi quello che vuoi leggere. Si dice chiaramente che le cause sono la mancanza di attività fisica, di vitamina D e di calcio. E altre.
      – Alcool e zuccheri: chi segue un’alimentazione anche solo un po’ attenta tende già ad evitare alcool e zuccheri aggiunti, per cui diventano una causa più marginale.
      – Malattie cardiovascolari: sono causate dall’eccesso. Di tutto, dai grassi ai carboidrati alla pigrizia. I latticini in quanto tali c’entrano poco.
      – L’IGF-I è prodotto dall’organismo, altro che latte, se no qualsiasi mammifero smetterebbe di crescere dopo lo svezzamento.
      – Le persone che testimoniano miglioramenti dopo aver tolto i latticini probabilmente prima mangiavano troppo e male, e hanno cambiato anche altro.
      – Basta con la storia che il latte è iperproteico: ha solo il 3.3% di proteine. Il frumento ne ha il 13% ma nessuno si sognerebbe di dire che causa l’osteoporosi.
      – I formaggi ricchi di polifosfati sono cibo industriale, niente a che fare con il latte.
      – I fabbisogni di calcio sono calcolati sulla perdita di calcio fisiologica quotidiana di 300 mg e sull’assorbimento medio.
      – I cereali sono menzionati per far capire che non solo i cibi animali hanno aminoacidi solforati, ma anche alcuni vegetali.
      – Ossa delle popolazioni africane: l’età media è più bassa, la vitamina D più abbondante, l’attività fisica migliore, la predisposizione genetica diversa. I latticini non c’entrano.
      – Rapporto CA/P: leggi bene: non ho detto che il calcio deve essere assunto nel rapporto di 2.5:1, men che mai che nel latte è uguale a quello delle ossa (2.5:1), ma che deve essere assunto almeno con rapporto 1:1, e il latte lo rispetta.
      – Sul fatto che gran parte del latte al giorno d’oggi sia prodotto male sono d’accordo anch’io. Se si consumasse nelle giuste quantità senza abusi la produzione potrebbe passare dalla quantità alla qualità. E cambierebbe tutto.

      Il resto mi pare sia dovuto a una tua lettura frettolosa del post, probabilmente per la lunghezza eccessiva…

      Ciao.

  2. Gentile sig. Pades,

    sono sicuro che potremmo discutere per delle ore, come dici tu, e alla fine rimanere ognuno con le proprie idee.

    Perciò il vero motivo che mi ha spinto a questa ulteriore replica, a parte uno sfogo personale, è la speranza di catturare l’ attenzione del lettore su alcuni punti.

    Data la vastità dell’ argomento, io mi sono limitato a commentare alcune affermazioni che si leggono nel tuo articolo, ma, come vedi, non ho neanche accennato alla scarsa digeribilità della caseina (con tutte le implicazioni del caso), né al fatto che Colin Campbell (che non è precisamente Pappagone) la consideri una delle proteine più implicate nella cancerogenesi, né alla scarsa digeribilità dei grassi (non a caso è stata inventata la omogeneizzazione), la correlazione col diabete giovanile, con le allergie (che, guarda caso, sono aumentate iperbolicamente, anche per il parallelo aumento di consumo dei latticini), e mi fermo qui.

    Quello che a te sembra “odio cieco” verso i latticini è invece la naturale reazione all’ enfasi e alle mistificazioni che hanno sempre caratterizzato questo tema.

    Ma insomma, possibile che nel 2012, con tutte le conoscenze di cui disponiamo, tutti quegli incompetenti che hanno il privilegio di poter far sentire la propria voce sui più diffusi mass media, quando si parla di osteoporosi l’ unica cosa che sanno fare è ripetere pappagallescamente la solita raccomandazione di consumare latte e formaggio? Ma andiamo… questo è puro dilettantismo.

    Quando ho affermato che l’ osteoporosi non è certo dovuta a una carenza di latticini volevo solo sottolineare questo concetto, dato che da quello che si dice sempre in giro e dal tono del tuo articolo si può essere facilmente indotti a pensarlo.

    Ma ci tengo a tornare su alcuni punti:

    – Mi chiedo come si possa oggettivamente affermare che i latticini non sono iperproteici e non c’ entrano niente con l’ effetto acidificante sul sangue, dal momento che anche i muri sanno che gli alimenti proteici per eccellenza sono quelli animali, che le proteine sono acidificanti (e lo sono di più quelle animali) e che la dieta moderna, notoriamente iperproteica e ad altissimo tasso di cibo animale, è acidificante.

    Se il latte vaccino contiene tre volte più proteine di quello umano (e questo è un dato di fatto), vuol dire che un terzo di quella dose basta alle esigenze di un neonato umano, che per giunta è in crescita, e quindi il resto è in eccesso. O la matematica è un’ opinione?

    Quanto poi alle proteine del frumento, penso che il dato da te fornito si riferisca al cereale secco, e quindi si abbassa notevolmente quando questo è cotto in acqua.

    – Ammesso che il latte non contenga IGF-1, certamente avrà l’ effetto di stimolarne la produzione, perché se Berrino ed altri ne parlano a proposito dei latticini, qualche motivo pure ci sarà, non ti pare?

    In ogni caso, IGF a parte, a me risulta che il latte contiene anche parecchi altri ormoni in qualche modo collegati alla crescita (il che è del tutto verosimile, in quanto è l’ alimento destinato ad un organismo in quella particolare fase della sua vita ).

    – Sì, certo, adottando una dieta più sobria, mangiando meno e facendo più esercizio fisico si possono ottenere anche notevoli benefici per la salute, ma certi disturbi, finchè non si eliminano del tutto i latticini… col cavolo possono guarire! Prova a parlarne con qualche affermato consulente macrobiotico con esperienza pluridecennale…

    – Tu dici che il fabbisogno giornaliero minimo di calcio è calcolato in base alla perdita fisiologica. Già, ma che cosa determina questa perdita? E come si fa a sapere che questa è “fisiologica”? In realtà si danno per scontate le condizioni che ne sono alla base. Mi sembra che tu stia eludendo il problema, perché non mi hai spiegato come mai le quantità minime consigliate dalle autorità statunitensi siano notevolmente superiori a quelle indicate dalla OMS, che si basa evidentemente su altri presupposti.

    – Per quanto riguarda il rapporto Calcio/Fosforo in un alimento, io sapevo che per un’ assimilazione ottimale di entrambi è bene che sia di almeno 2 a 1. Ma se tu dici che è sufficiente anche 1 a 1 (che è appunto il valore che si riscontra nel latte vaccino), non saprei cosa dire.

    – Preferisco sorvolare su quello che consideri consumo “moderato”, che contempla i latticini un giorno sì e l’ altro… pure (con dosaggio extra).

    – Possibile che il fatto che la maggior parte dell’ umanità ancora oggi non consumi latticini e non digerisca il lattosio, e che le popolazioni che non fanno uso di latticini hanno ossa in condizioni migliori delle nostre non abbia alcun significato per te?

    – Possibile che il parere di eminenti scienziati del calibro di Berrino, Campbell e tutti gli altri che ho nominato sia irrilevante?

    – L’ uomo usa i latticini da 12000 anni? Verissimo. Ma ciò è avvenuto in un contesto che è sempre stato lontano anni-luce da quello attuale, e se in passato moderate quantità di latticini potevano essere più facilmente tollerate, e perfino utili, oggi non è più così, anche perché alle considerazioni già fatte bisogna aggiungere le nuove perentorie istanze ambientali.

    Continuare infatti a produrre proteine animali per assecondare tutti i nostri capricci di bambini viziati troppo a lungo è un lusso che oggi nessuno può più permettersi.

    Comunque, per concludere, divergenze di opinioni a parte, devo riconoscere che il tuo articolo è davvero interessante, non fosse altro che per la lunghezza, decisamente insolita, e per la completezza.

    Esso affronta con dovizia di particolari tutti gli aspetti del problema, anche se forse pochi lo leggeranno per intero, perché, come giustamente dici, purtroppo la maggior parte delle persone non è interessata ad approfondire.

    Michele Nardella

    • Caro Michele,
      secondo me alla fine le nostre posizioni non sono poi così lontane, solo che tu nei confronti dei latticini sei più per la tolleranza zero, io per una tolleranza ragionata, ma sempre con moderazione, nell’uso. Quando vedo l’abuso che i nordamericani fanno dei latticini mi cadono le braccia (e poi molti studi epidemiologici disastrosi vengono da lì), come vedere girare al ristorante piatti di formaggi con porzioni che io consumerei in un mese (“tanto sono magri…”, ahimè). Sui mass media, poi, con me sfondi una porta aperta: c’è una superficialità disarmante.

      Riguardo la caseina, bisogna sempre tener presente che è in un alimento destinato ad apparati digerenti ancora in formazione, dunque non può essere poi così indigeribile. Inoltre, come saprai, le caseine del latte di pecora e capra sono diverse e più digeribili, la molecola è più piccola, e parecchi studi le hanno trovate meno allergizzanti nei soggetti predisposti. Anche qui, come vedi, la moderazione ha la sua importanza. Certo se uno si strafoga… Come avrai visto, nel post i latticini sono considerati un possibile aiuto avallato dall’evoluzione, non certo un obbligo (ho proprio specificato: sono indispensabili? NO), e ho anche insistito sulla ottima biodisponibilità del calcio vegetale, che i nostri amiconi dei mass-media spesso bollano come “non se ne assorbe niente, ci sono troppe fibre/ossalati/fitati ecc”.

      – Proteine: nessun alimento è iperproteico, al limite è iperproteica la dieta. Visto che le proteine sono indispensabili, la dieta diventa iperproteica quando supero la quota di 1 g/kg p.c. al giorno. Posso anche avere una dieta iperproteica vegana, se esagero con le proteine vegetali. Nel vicolo cieco delle proteine ci si infilano in tanti: incominciano dicendo che la dieta iperproteica è acidificante (vero) e poi concludono dicendo che siccome i latticini hanno le proteine allora sono acidificanti (falso, lo sono se eccedo con le proteine totali). Più che matematica o logica, basta un po’ di onestà intellettuale. Lo so bene che la dieta occidentale moderna è acidificante, ma qui non si parla di dieta occidentale moderna, ma di uso modesto di latticini e quasi zero carne: ti assicuro che la mia dieta non è iperproteica, ad esempio.

      – La perdita fisiologica di calcio è legata al fatto che i reni non riescono a recuperarlo tutto, un po’ ne usiamo per la pelle e altri tessuti che vengono ricambiati e un po’ se ne va con i secreti dell’apparato digerente o il sudore. Lo penso anch’io (come molti) che le RdA americane siano eccessive. Ma sotto i 500-600 mg (dagli alimenti) al giorno non ci stai dentro. Pensa che se uno avesse la fortuna di bere un’acqua bella ricca di calcio (tipo la Sangemini ad es.) ne basterebbe poco più di una bottiglia al giorno, e anche i latticini potrebbero essere quasi azzerati in quel caso.

      – Rapporto Ca/P: certo più il rapporto è alto meglio è: nella rucola e nella cicoria il rapporto è addirittura superiore a 6:1, che magari bilancerà un rapporto meno favorevole del resto del pasto. Se sono circa 1:1 nel complesso del pasto, nessuno dei due andrà in parte sprecato.

      – Suvvia, 1 o 2 vasetti di yogurt e un cubetto di formaggio di meno tre centimetri di lato ti sembrano dosi pantagrueliche? Se te li metti davanti, a tavola, quei cubetti fanno quasi tenerezza da quanto sono piccoli. Mio figlio si mette a ridere quando mi vede con il mio cubettino di caciotta di capra in mano.

      – Insisto: se leggi i rapporti epidemiologici ti rendi conto che l’osteoporosi dopo una certa età è endemica in tutte le popolazioni urbanizzate, e la variabile latticini si perde. Mi viene in mente il Cile, ad es., paese con il minor rischio di fratture osteoporotiche al mondo (molto meno della Cina), che consuma molto moderatamente latticini, o i Masai, che arrivano alle spropositate quantità di 3-4 litri di latte al giorno, ma lo stile di vita è molto più “naturale”. Sono molto più pesanti le altre variabili (esercizio fisico, sole, …) e il fattore latticini si perde, al loro confronto.

      – Certo che il parere di Berrino, Campbell ecc. mi interessa, ma parafrasando quello che diceva già due anni fa Denise Minger (so che sai chi è) “più che le opinioni o le impressioni, mi interessano i fatti”. Però li leggo con estremo interesse.

      – Sul tema ambientale, perfettamente d’accordo, ne ho parlato anche in un post passato. Siamo troppi e vogliamo mangiare troppo, infischiandocene altamente dell’ecosistema. Sarà il problema numero uno del futuro.

      Grazie.
      Ciao.

  3. Caro Pades,
    anch’io sono convinto che le nostre posizioni non sono poi troppo lontane.
    Credo che oggi ci sia fondamentalmente un grosso problema di comunicazione, perché quando ci si trova in disaccordo con qualcuno, spesso non ci si accorge di intendere sostanzialmente le stesse cose, e questo avviene perché non ci si sa esprimere in modo adeguato nei confronti del proprio interlocutore, o non si riesce a comprendere cosa realmente egli voglia comunicare di preciso, in quanto l’ uso di certe parole, di certe espressioni (che affondano le loro radici in significati inconsci), e cioè tanto il modo in cui si formula il messaggio, quanto quello in cui lo si percepisce, viene male interpretato, perché filtrato appunto attraverso questi meccanismi inconsci cerebrali formatisi dalla propria esperienza, dando luogo a reazioni automatiche che non di rado sfociano nel litigio vero e proprio.
    Ma tornando a noi, voglio chiarire, a scanso di equivoci, che non sono un dittatore intransigente, e non pretendo certo di convertire tutta l’ umanità al più assoluto veganismo (neanch’io sono vegano, del resto), né tanto ingenuo da pensarlo come una ipotesi realistica.
    Sono anche sicuro che un consumo davvero minimo di latticini di buona qualità non sarà mai la fine del mondo per la maggior parte delle persone, ma il punto è un altro.
    Ci tenevo a fare tutte le precisazioni che hai letto, a mettere i puntini sulle “i”, in quanto, in base alla mia esperienza, posso dire che questo argomento viene affrontato con “superficialità disarmante”, per usare le tue parole (anche se non sarà il tuo caso): sarò sfortunato, ma le cose che dico io (e come le dico io) non le ho mai lette in nessun blog, né su nessun giornale, per non parlare della tv. Son tutte cose che si dicono tra macrobiotici, vegani e altri più o meno interessati seriamente all’ argomento, persone, cioè, che vogliono capire davvero, e non sono disposte a bersi tutte le corbellerie che ci passa mamma tv. “Vox clamans in deserto”, come si suol dire.
    Voglio tornare però brevemente su un’ ultima cosa, che forse è la chiave di volta per appianare ogni equivoco e incomprensione.
    A proposito dell’ effetto acidificante delle proteine, tu giustamente fai notare che non è un singolo alimento responsabile di una condizione di squilibrio, ma la dieta nel suo complesso. Già, ma il punto è proprio questo.
    Se si parte con l’ idea di includere ogni giorno i latticini nella dieta (e molti ci vorrebbero mettere anche la carne), le cose si complicano. Perché, se i latticini non dovrebbero andare a scapito di alimenti più fondamentali, come i cereali (da quel che ho capito essere la tua posizione), significa che all’ effetto acidificante di questi ultimi si aggiungerà quello dei latticini, e magari di un pezzetto di carne (e che sarà mai!), e poi naturalmente ci sono i legumi (ci vorranno anche quelli, o no?), e il pesce, coi suoi preziosi omega 3, non ce lo vogliamo includere?… come si può facilmente capire, alla fine i conti non tornano, e il risultato complessivo sarà quasi sicuramente acidificante.
    Questo succede perché tutte le teorie che si sostengono esclusivamente sull’ analisi scientifica sono intrinsecamente basate su una visione della realtà fittizia, dove tutti i dati ricavati empiricamente sono suddivisi in compartimenti stagni, e quindi è più difficile capire come essi si relazionino e si completino a vicenda. Ed è proprio a causa di questa sorta di miopia congenita del metodo scientifico tradizionale che non è troppo difficile dimostrare quello che si vuole: basta focalizzarsi su un particolare e ignorare tutto il resto.
    Ormai, su come dovremmo nutrirci, veniamo continuamente bombardati dalle notizie più contraddittorie, alcune al limite del demenziale, e l’ unico motivo per cui queste ricevono considerazione è che sono “scientifiche”.
    Tutto ciò non ha senso finchè manca un principio-guida, un modello di riferimento che possa considerarsi sicuro.
    Ecco perché propendo per la dieta standard secondo la macrobiotica (ripeto: standard, e quindi eventualmente adattabile alle esigenze del singolo). Questo modello mi sembra il più affidabile, perché il più completo, il più coerente e anche il più pratico, essendo stato elaborato in base a criteri che comprendono anche considerazioni ed elementi di giudizio che , in quanto universali, non hanno minore dignità e importanza di quelli “scientifici” e che i soli freddi, sterili dati analitici non implicano.
    Grazie per avermi dato spazio e attenzione.
    Cordiali saluti

    Michele Nardella

    • Caro Michele,
      ti dirò che sono d’accordo praticamente su tutto. Penso che anche tu, come me, hai cominciato a scrivere di queste cose perchè più studiavi la materia e più sentivi di dover prendere le distanze da quello che dicono giornali, tv e sedicenti espertoni. Purtroppo il pubblico non ha la voglia né il tempo di approfondire e si beve tutto, girandosi dalla parte di chi urla più forte (e più in fretta, perchè “non ho tempo da perdere”). Se trovi il tempo leggiti (se non lo hai già fatto) “I Barbari” di Alessandro Baricco. A tratti un po’ pesante, ma vedrai sotto la luce giusta quello che riguarda i mass-media e soprattutto quello che il pubblico vuole dai mass-media. Ho letto della puntata di “Porta a Porta” di alcuni giorni fa (sfortunatamente non l’ho vista) nella quale si sono scontrati vegetariani e onnivori. Non faccio nomi, ma gli espertoni di turno non mancavano e sembra che dal punto di vista della divulgazione lo spettacolo sia stato pietoso (preciso, a scanso di equivoci, che io sono tendenzialmente vegetariano).
      La strada è lunga…

      Tornando alle proteine, certo che occorre fare la somma di tutte le proteine, e stare pure attenti alla loro qualità, ma bisogna anche tener presente che il grosso dell’effetto acidificante scatta quando si supera la quota di proteine fisiologicamente necessaria, perchè è la conseguenza della loro demolizione a scopo energetico. Quelle che l’organismo usa per riparare tessuti e produrre ormoni e tutto ciò che gli serve (che non vanno “demolite”) non acidificano più di tanto e sono comunque un processo “necessario”, sono quelle in sovrappiù che creano i guai. Se peso una settantina di chili e sono normopeso, i primi 65-70 g di proteine acidificheranno ben poco. Per come mangio io ti assicuro che faccio quasi fatica a raggiungere la quota necessaria, superarla non se ne parla neanche. Ma se fai un giro per la tavola dell’onnivoro occidentale medio…
      Mi sono fatto anche due conti, e dai latticini ricavo (quando esagero) circa 16 g di proteine sui 73 che mi servono, di cui circa 14 g caseine (cioè le caseine ammontano al 3% delle calorie totali, per fare i conti alla “China Study”). Conto così di minimizzare i rischi e massimizzare i benefici.
      D’altra parte è con questi meccanismi che, come dicono gli esperti di evoluzione, il consumo di latticini è stato (ed è ancora, secondo una review del 2008) un “survival advantage”, come lo sono molti altri cibi. Un po’ tutta l’alimentazione è un complicato gioco di equilibrismi… ma il consumo deve essere molto parco, e magari qui i nostri pareri si avvicinano di più.

      Buona giornata :-)

  4. Ciao Pades,
    complimenti per l’articolo. Davvero ben fatto.
    Grazie per la condivisione.

  5. magari tutti gli articoli fossero così…..ottimo lavoro

    • Grazie Samuele.

      Ciao.

  6. GRAZIE. Semplicemente vero quello che avete scritto.

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  8. Francesco mi scrive:

    Non mi permetto di entrare in merito a quanto scientificamente proposto, ma sono testimone diretto dei danni prodotti dai latticini.
    Mio figlio (all’epoca aveva 9 anni) aveva adenoidi e turbinati talmente gonfi da ostruire ormai la via nasale del 95%.
    Questa certificazione dell’otorino l’ho portata dalla pediatra affinchè avallasse la richiesta d’intervento chirurgico.
    “Operare? Neanche per sogno. Togli il latte per 2 mesi (inclusi tutti i prodotti che contengono lattosio) e vedrai che tuo figlio starà meglio”.
    Alle mie rimostranze sulla solita fonte di calcio ecc. mi ha risposto: “Tu fai come ti ho detto e ne riparleremo.”.
    Ebbene: dopo la dieta senza latte, latticini e lattosio (ficcato veramente ovunque) ho riportato mio figlio dall’otorino che l’ha nuovamente visitato e lo ha trovato GUARITO, NON PIU’ BISOGNOSO D’INTERVENTO!
    Mi ha chiesto se nel frattempo avessi ripetuto la cura che mi prescrisse tempo addietro (che si rilevò perfettamente inutile).
    Gli raccontai delle indicazioni della pediatra, ecc.
    NON MI HA NEANCHE RISPOSTO, NESSUN COMMENTO!
    Ha preso il suo bel foglietto ed ha certificato lo stato di salute di mio figlio: “…adenoidi e turbinati nella norma…”
    Non voglio più tediarvi con altre vicende personali (anche io respiro molto meglio e posso finalmente astenermi dai lavaggi nasali quotidiani che ero costretto a fare prima ed anche l’altro figlio non ha più emicranie da affaticamento, ecc.).
    Io i motivi non li conosco, so soltanto che senza latte io e la mia famiglia siamo rinati.
    Se volete le fotocopie delle diagnosi ve le posso mandare.

    Risposta:
    Caro Francesco, sono veramente felice per tuo figlio. Hai avuto la fortuna di trovare una pediatra in gamba, che ha probabilmente intuito una allergia alle proteine del latte o un’intolleranza al lattosio. Hai cambiato anche altro nell’alimentazione? Probabilmente sì. Fammi sapere!
    Ciao.

    • Francesco mi scrive:
      Nell’arco di 2 anni ho cambiato quasi tutto grazie alla scoperta dei punti macrobiotici. Ero vegetariano da circa 10 anni, ma troppo dedito alle proteine animali (latticini e uova).
      Probabilmente non diventerò mai un vegano stretto, ma cereali, legumi, verdure cotte e crude (ovviamente d’origine e qualità controllata) sono presenti al 90 % nella mia dieta.
      Con i miei 2 figli è più complicato (specie con il più piccolo) ma notevoli passi avanti ho fatto anche con loro.
      Da un po’ di tempo sto affrontando il muro della PASTA MADRE: pare che questa volta ci siamo…
      Grazie per l’ospitalità e a presto.
      Francesco

      Risposta:
      Ah, ecco, hai praticamente cambiato tutta la dieta.
      Sono solidale per quanto riguarda la difficoltà nel farsi seguire dai bimbi. Il problema non è tanto il gusto, perchè al nostro, che ha quasi otto anni, piace tutto quello che mangiamo noi. Il problema è il confronto con gli altri: a scuola è difficile essere l’unico ad avere come merenda la frutta o un muffin rustico fatto in casa (e da bere acqua) quando gli altri sfoggiano chili di merendine, cioccolati, bibite docificate… Ma noi andiamo avanti lo stesso.
      Ciao.

  9. Buongiorno , dopo averlo stampato (25 fogli ma ne è valsa la pena) ho letto quello che tu modestamente definisci “post” , io penso invece che sia un eccellente lavoro e ti faccio i complimenti.A parte il contenuto, ciò che appare evidente è l’obiettività e la totale assenza di faziosità nei vari argomenti trattati ,cosa molto rara da trovare in rete.
    Saluti Andrea

  10. Ciao Pades,
    non ho potuto partecipare all’ incontro di Colin Campbell a Vicenza che, a giudicare dagli ospiti illustri (mi riferisco principalmente a Berrino) deve essere stato l’ evento dell’ anno.
    Mi hai detto nella tua ultima risposta che Campbell si è “ammorbidito”, e proprio per questo mi interesserebbe sapere se in questa recentissima occasione ha detto qualcosa di nuovo e interessante a tal proposito, o si è limitato a ripetere quanto già si sapeva dalla lettura del suo libro.
    Da ciò che emerge da “The China Study”, infatti, sembrerebbe che le proteine animali siano praticamente la causa di tutte le malattie, e che eliminandole si possa guarire qualsiasi cosa, cancro compreso. Il che più che un’ affermazione che suscita perplessità mi sembra un insulto all’ intelligenza.
    Oltretutto l’ imperativo di eliminare indistintamente tutte le proteine animali contrasta con le recenti direttive dei più qualificati esperti macrobiotici, che ribadiscono l’ importanza di una piccola frazione di cibo animale, e non necessariamente limitato al pesce, come si era sempre detto.
    Se tu sei stato alla conferenza di cui sopra, o se ne sai qualcosa, mi potresti riassumere i punti salienti? Te ne sarei davvero molto grato.
    Puoi rispondermi nel mio blog, dove ho riportato questa stessa richiesta fra i commenti all’ articolo “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”, dove abbiamo già avuto uno scambio di opinioni; oppure al mio indirizzo email: michelenardella@bluperla.com.
    Intanto ti ringrazio e ti saluto.

    • Ciao Michele,
      ti ho risposto sul tuo blog.

  11. […] hanno scritto in molti, riguardo il post “Ricalcifichiamoci, non è mai troppo tardi”, lamentandone la lunghezza e chiedendone una sintesi di alcuni punti: fabbisogno giornaliero di […]

  12. […] Ricalcifichiamoci (non è mai troppo tardi) | La mia … – “Tarda età, ossa fragili, carenza di calcio”: questo è, nella maggior parte dei casi, lo scenario che gran parte delle persone immagina parlando di osteoporosi…. […]

  13. Ciao Pades e complimenti per il blog e l’esauriente articolo. Mi congratulo soprattutto per l’assenza di partigianeria e l’approccio razionale e quantitativo, ormai raro.

    Partendo dai dati della tabella ho provato a fare due conti per capire come assumere quotidianamente il calcio necessario, classificando gli alimenti in termini di apporto in calcio, grammi necessari, apporto calorico e appetibilità. Giorno per giorno verificherò anche di rimanere all’interno di un apporto proteico congruo, ma per ora non ho fatto calcoli precisi, anche se a spanne direi che non ci sono problemi.

    Ho provato a inserire anche il pesce azzurro, nella fattispecie le alici. Con 170 gr introdurremmo 100 mg reali di calcio, con un apporto calorico di 163 Kcal. Ho stimato un assorbimento del 40% non trovando dati in merito. Numeri alla mano mi sembra un alimento interessante, cosa ne pensi? Ho trascurato qualcosa?

    • Mi sembra tutto corretto, il 40% di assorbimento in assenza di dati può andare (probabilmente è anche maggiore), ma intendi piccole alici fresche cotte con anche parte della lisca, giusto? Non le ho messe in tabella proprio perchè non di facile e frequente consumo, ma come fonte di calcio sono ottime.
      Ciao e grazie.

  14. Articolo molto interessante, grazie.
    Alla fine mi sono un pò persa nei commenti ma mi sono salvata il link e ci ritornerò.
    A presto

    • Grazie… su gran parte dei commenti puoi sorvolare. Per mia scelta li pubblico tutti, ma se alcuni commenti -al limite del trollaggio- provocano effettivamente confusione come fai capire, finirò per cedere al primo impulso ed eliminarli… :-)

  15. Bellissimo articolo!

  16. Articolo molto interessante e soprattutto istruttivo. Bravo!
    I commenti sono unp pò astrusi

    • Grazie Antonietta, e benvenuta. :-)
      Dovresti vedere quelli che sono costretto a censurare. :-)

  17. Complimenti per l’articolo molto interessante! L’ho stampato per rileggerlo con calma e tenerlo a portata di mano.
    Sarah

  18. buongiorno, leggo solo ora l’articolo e vorrei approfondire la questione IGF-1. Io ce l’avevo molto alto e essendo anche brca1 positiva, ossia ho una mutazione genetica che predispone al tumore al seno (appunto già avuto in giovane età), ho seguito le indicazioni di Berrino e dopo un anno tale valore si è dimezzato. Avevo tolto completamente il Latte e derivati mentre gli zuccheri raffinati molto molto diminuiti. Queste le due cose principali, poi le altre indicazioni le ho seguite meno, quindi mangiavo cmq un pò di carne bianca e soprattutto pesce, ma ho aumentato frutta secca e semi.
    Quindi ho immaginato che il cambiamento principale fosse sul latte e il mio IGF-1 un anno dopo era rientrato nel range.
    Ora ho un problema di osteopenia (ho 42 anni) dovuta sia alla chemio (no tamoxifene) di 6 anni fa, sia all’anoressia in adolescenza che all’assenza di attività fisica e esposizione solare, che ora ricomincerò a reintrodurre.
    Vorrei capire xò una cosa per me (e per mia figlia di 2 anni) importante : davvero l’igf1 non è correlato al latte? dove trovo notizie più approfondite?
    xè non vorrei predisporre mia figlia maggiormente al tumore al seno da grande (ovviamente so che ci sono altre malattie etc….) alzandole l’igf1 a causa del latte, ma non vorrei neppure predisporla ad osteoporosi perchè sbaglio a eliminare il latte dalla sua alimentazione.
    Premetto che lei cmq mangia di tutto (anche se meno carne bianca e più pesce e legumi) TRANNE BERE IL LATTE. Mangia yogurt due tre volte a settimana, un pochino di grana una volta al giorno sul primo piatto e una volta a settimana ricotta. Quindi cmq introduce del latte, ma non so se è sufficiente per darle ciò che le ossa necessitano nei primi anni di vita.
    Grazie.

    • Ciao e benvenuta,
      notizie approfondite le trovi partendo dagli ultimi tre riferimenti indicati in fondo al post (i numeri 31, 32, 33). Lì troverai addirittura tabelle che evidenziano quanto aumenta l’IGF-I a seconda dei vari alimenti. Partendo dalla bibliografia di quegli studi trovi poi altre pubblicazioni, magari più recenti. Se hai problemi a trovare i testi fammi sapere, cercherò di recuperarli dal mio archivio.
      Tieni però presente che il fattore genetico incide molto, dunque va tutto filtrato sul caso specifico. Ad esempio agli uomini a rischio cancro-prostata (marcatori, familiarità, ecc.) in via precauzionale so che viene consigliato di andarci piano con i latticini, anche per abbattere la variabile “eccessiva quantità di calcio”, probabilmente in attesa di studi più approfonditi e, ripeto, per precauzione.
      Per tua figlia piccola però è tassativo un parere del pediatra, informato di tutto il quadro, alimentare e anche genetico. Lui sa valutare il rapporto rischi/benefici anche in base alle evidenze più recenti. A quell’età i “fattori antinutritivi” vanno valutati super-attentamente (fibre, fitati, ossalati, …), in maniera diversa dagli adulti che possono assumere efficientemente calcio anche dalle altre fonti.

      • grazie per la risposta, cerco gli articoli e leggo…
        per la pediatra…purtroppo quelle aggiornate sono difficili da trovare, perchè sono poche quelle persone che approfondiscono l’argomento alimentazione e tumore.
        Grazie!

  19. Volevo apportare un contributo riguardante recenti studi in merito allo yogurt e la prevenzione di ipertensione e del diabete di tipo 2:

    http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=10188

    Sto trovando questo blog sempre più bello e interessante perché non solo i “post” sono completi e accurati, facendo percepire quanto l’autore abbia impegnato le SUE forze e il SUO tempo mettendolo poi a disposizione di tutti gratuitamente, ma anche equilibrati, in un mondo come quello delle diete alimentari, che spesso somiglia a quello degli ultras calcistici.
    Io sto lentamente cercando un “modello di dieta per me” proprio su questa base, che non sia “talebano”, ma bensì informato, personalizzato sui miei disturbi, il più possibile sano.
    Questo, ho visto, richiede tempo e anche, purtroppo, denaro, ma confido che i benefici si vedranno sul lungo periodo (ho meno di 30 anni).

    Continuerò a seguire il blog costantemente.

    • Grazie R., e benvenuta.
      Ottime indicazioni, le verifico subito.


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